Ultimamente (e per fortuna) si sente parlare di registi italiani che sbarcano negli States: oltre a Paolo Sorrentino (The Young Pope) e a Stefano Sollima, al lavoro per il seguito di Sicario (Soldado), da tempo lavora ad Hollywood Gabriele Muccino, che sbancò il botteghino d’oltreoceano con La ricerca della felicità.
Questa volta Muccino ha deciso di seguire un approccio diverso per il suo ultimo lungometraggio, L’estate addosso, ovvero una produzione italiana ambientata in gran parte negli Stati Uniti, e, soprattutto, in lingua inglese (cosa molto inusuale nel cinema italiano): la storia parla di due adolescenti appena diciottenni, Marco (Brando Pacitto) e Maria (Matilda Lutz), che decidono di trascorrere parte delle loro vacanze post-maturità a San Francisco, ospitati da Matt (Taylor Frey) e Paul (Joseph Haro), due ragazzi gay che hanno deciso di convivere assieme. La pellicola si concentra prevalentemente su questi elementi: l’omofobia e l’intolleranza di Maria, ragazza “per bene” e bigotta che si trova inizialmente a disagio nell’essere ospitata da due omosessuali; la relazione tra Matt e Paul, conosciutisi in una Louisiana retrograda e omofobica che li ha spinti a trasferirsi a San Francisco; l’incomunicabilità iniziale tra Marco e Maria, ragazzi molto diversi tra di loro, il quale rapporto si evolve parecchio durante lo sviluppo della pellicola; ovviamente, last but no least, il tema del “viaggio”, visto come crescita personale, spirituale e culturale dai personaggi (specialmente da parte di Maria), in particolare se intrapreso a cavallo tra l’adolescenza e l’età adulta.
Il modo in cui Muccino tratta tutti questi argomenti è abbastanza confuso e patinato, specialmente quando fa la sua comparsa il character di Maria, che si evolve troppo rapidamente e bruscamente per essere credibile (specialmente se si vuole trattare di un personaggio inizialmente bigotto) ed arriva ad essere quasi ridicolo e forzato nel finale; la storyline della coppia gay (Matt e Paul) è rappresentata in maniera molto simile a quello che di solito vediamo in parecchie produzione made in USA, anche se bisogna dare merito al regista di averlo fatto in un contesto, quello italiano, non abituato a trattare questo tipo di storie. Il personaggio di Marco è invece abbastanza realistico, il classico diciottenne annoiato che, inizialmente pronto a partire da solo per andare a trovare un amico, si è ritrovato invece costretto a condividere questo viaggio con una ragazza insopportabile ma attraente.
Ci sono degli elementi, nella pellicola, che potrebbero dar fastidio allo spettatore, come per esempio l’incongruenza di alcune situazioni (il fatto che alternino in continuazione nel film discorsi in romanesco abbastanza stretto ed un inglese quasi perfetto è un pò forzato); inoltre un altro grosso difetto è una seconda parte piena di filler e scene senza nessuno scopo narrativo che ci fa intuire come il regista ad un certo punto fosse a corto di idee e si sia trovato dunque costretto a dover allungare il brodo per riempire i canonici 90/100 minuti, (il finale, abbastanza chiaro, conciso e, soprattutto, non banale e scontato, dimostra come Muccino avesse, fin dall’inizio, alcune idee ben chiare).
Con una realizzazione tecnica nella media, senza infamia e lode (anche se sono presenti un po’ di scene tecnicamente discutibili), L’estate addosso è un film abbastanza godibile che però non riesce a trasmettere granché allo spettatore, rendendolo così velocemente dimenticabile e associabile alla gran parte della recente produzione cinematografica italiana.
Venezia 73: la recensione in anteprima di L’Estate Addosso
Poche luci e molte ombre per il nuovo film italiano di Gabriele Muccino presentato in anteprima a Venezia.