Una cosa su Twin Peaks va detta subito, senza mezzi termini: se David Lynch e Mark Frost avessero realizzato la serie ai giorni nostri, nessun produttore televisivo sano di mente avrebbe deciso di rivelare l’identità dell’assassino di Laura Palmer già nel mezzo della seconda stagione, soprattutto dopo l’enorme impatto culturale che quel mistero ebbe nei primi otto episodi (ne abbiamo già parlato qui).
Chi ha ucciso Twin Peaks?
Ancora oggi resta incomprensibile la ragione che sta dietro a quello che possiamo definire come il più grande “salto dello squalo” della storia della serialità televisiva, l’aver cioè rivelato l’enigma della morte di Laura Palmer appena otto mesi dopo la messa in onda del pilot. Quello che invece sappiamo è chi si oppose fermamente a quella decisione di scoprire le carte. David Lynch si era completamente innamorato del personaggio di Laura Palmer e non voleva in nessun modo rivelare l’identità dell’assassino, almeno non prima del season finale; il co-creatore Mark Frost invece era di un’idea diversa: secondo lui la risoluzione del mistero della morte della giovane Laura era quasi un obbligo morale verso il pubblico che andava “liberato” da quella ossessione. Ed è forse a causa della grande pressione subìta dall’ABC da parte del pubblico e degli addetti ai lavori che il network televisivo sciolse il mistero nel corso della seconda stagione iniziata nel settembre del 1990. Oggi l’industria della serialità televisiva avrebbe gestito quell’hype in modo totalmente diverso, allora probabilmente non si poteva chiedere la stessa lungimiranza. Molti anni dopo, di fatto, altri showrunner non commisero lo stesso errore: per esempio J. J. Abrams, Damon Lindelof e Carlton Cuse, con il loro Lost (altro grande prodotto di punta dell’ABC), decisero di cavalcare i rompicapi generati dal loro show televisivo per sei stagioni.
Tra sospensioni e cancellazioni
Non fu così per Twin Peaks. La notte del primo dicembre 1990 tutto il mondo conobbe chi aveva ucciso Laura Palmer (Sheryl Lee). Da allora la serie registrò una caduta degli ascolti e si trascinò per una decina di puntate perdendo quell’aura di mistero, fra il grottesco e il paranormale, che aveva contraddistinto buona parte degli episodi precedenti. La fine della caccia all’assassino costrinse gli sceneggiatori a proseguire la narrazione attraverso sottotrame poco coinvolgenti con alcuni personaggi che furono sradicati dal loro immaginario originario (lo stesso agente Cooper interpretato da Kyle MacLachlan iniziò a indossare camicie di flanella, per dire). D’altra parte Lynch si allontanò sempre di più dalla produzione della sua creatura perché iniziò a sentire Twin Peaks come una cosa che non gli apparteneva più. A complicare ulteriormente le cose si aggiunse la Guerra del Golfo che iniziò nei primi mesi del 1991 e che mediaticamente spostò l’attenzione del pubblico televisivo dai programmi ai notiziari bellici; le cose andarono talmente male che lo show rischiò addirittura di essere cancellato: il 23 febbraio del 1991 al posto della puntata prevista sulla ABC andò in onda il film Codice Magnum con Arnold Schwarzenegger seguito da una dichiarazione ufficiale del network che annunciava la cancellazione di Twin Peaks a tempo indeterminato. Fu solo grazie a una vera e propria mobilitazione degli appassionati che la rete televisiva dovette tornare sui propri passi. Si formarono infatti i COOP (Citizens Opposed to the Offing of Peaks, “Cittadini che si oppongono alla cancellazione di Peaks”), il cui acronimo aveva la stessa pronuncia (“Cup”) con cui l’agente Cooper era chiamato dai suoi amici e colleghi. La serie tornò sugli schermi a fine marzo del 1991 e dopo un’altra sospensione avvenuta dopo il ventesimo episodio, l’ABC mandò in onda le ultime due puntate lunedì 10 giugno 1991 nel corso di un’unica serata. Subito dopo il network decise di cancellare ogni ipotesi progettuale per una terza annata.
Il Lynch totalizzante
Al di là di tutto questo è però importante segnalare che nella seconda stagione sono contenuti alcuni degli episodi più belli di tutto lo show. La prima puntata (May the Giant Be With You), andata in onda il 30 settembre 1990, è forse il miglior episodio in assoluto di Twin Peaks, una première tanto sorprendente e divertente quanto alienante e inquietante. Il ritmo frustrante, la comparsa di personaggi grotteschi e una certa dose di violenza gratuita fanno di questo frammento il più significativo dell’intera serie, un episodio diretto da un David Lynch con totale libertà creativa e visionaria. Il regista farà lo stesso nella settima puntata, Lonely Souls, in cui sarà costretto a rivelare l’identità dell’assassino di Laura Palmer. Realizzandolo a suo modo: prima con un surreale e claustrofobico piano sequenza che apre la puntata sui coniugi Palmer e la nipote Maddy Ferguson riuniti sul divano di casa e successivamente con la scena di un omicidio animalesco e brutale che dura quasi otto minuti (fatto straordinario per la televisione), ricordata ancora oggi come una delle visioni più spaventose mai viste sul piccolo schermo e forse come una delle più inquietanti dell’intera filmografia del maestro di Missoula. Certo, questi sono brevi paragrafi in un capitolo, quello della seconda stagione, a tratti disastroso ma restituiscono appieno quell’eccezionalità etica ed estetica con la quale Twin Peaks ha cambiato la visione televisiva. Nella prima annata Lynch aveva più controllo ma anche più doveri nei confronti delle aspettative del grande pubblico riuscendo a mixare bene l’immaginario classico dei prodotti televisivi dell’epoca con il suo personalissimo modo di raccontare il mondo (esteriore e interiore) di Twin Peaks e dei suoi characters; nella seconda invece il cineasta ha subìto condizionamenti maggiori ma quando il network gli ha concesso carta bianca il suo approccio alla messa in scena è stato puro e totalizzante, privo di compromessi. Questo spiega anche perché questa stagione è stata meno digerita dall’opinione pubblica rispetto alla prima: quando la puntata sopraccitata con il brutale omicidio venne trasmessa in Inghilterra dalla BBC, il network ricevette numerose telefonate di protesta per la violenza della scena dell’omicidio. Lo stesso organo di vigilanza delle trasmissioni televisive britanniche intervenne ufficialmente contro quelle immagini che avevano superato “ogni limite accettabile”.
Ma il contributo di Lynch non terminò in quella puntata. Pur avendo progressivamente abbandonato la produzione dello show il regista tornò a dirigere il final season, Beyond Life and Death: la puntata lynchiana per eccellenza, folle ed ambigua, capace di annichilire gli spettatori con un finale tutt’altro che positivo e risolutivo ma tanto terrificante quanto moltiplicatore di enigmi. Il regista gettò lucidamente le basi per fare dell’ultimo episodio un finale “architettonico”, che sapeva tenere insieme il simbolismo, le atmosfere surreali e i personaggi più amati della serie (fra cui la stessa Laura Palmer), ricongiungendo la seconda stagione con il passato e allo stesso tempo proiettandola nel futuro. Un futuro che il 21 maggio prossimo, a distanza di più di 25 anni, diventerà di nuovo presente. Succederà ancora. E succederà a Twin Peaks.