Dopo aver visto circa quattro ore della nuova stagione lo possiamo dire con certezza: la nuova Twin Peaks, tornata dopo ben 25 anni sugli schermi televisivi, non sta affatto deludendo le aspettative. Ovviamente la creatura di David Lynch e Mark Frost è cresciuta e cambiata ma ha mantenuto due delle caratteristiche che l’hanno resa unica: la sua imprevedibilità narrativa e la sua capacità di racchiudere in un unico universo approcci linguistici, tecniche cinematografiche, atmosfere e registri diversissimi fra loro.
Il ritorno al cinema sperimentale
Se infatti già nelle prime due puntate Twin Peaks conservava l’ibridazione fra la realtà e la dimensione soprannaturale, recuperando l’impianto metafisico dalle prime due stagioni (ma ancora di più dal film-prequel Fuoco Cammina con me), il terzo episodio sconfina quasi in una follia visionaria. I primi venti minuti ci mostrano un vero e proprio frammento di cinema sperimentale, un inserto allucinato e allucinante che ricorda sia il primo David Lynch di Eraserhead ma anche quello più recente di Inland Empire: qualcosa che difficilmente una rete televisiva può permettersi di mandare in onda. Eppure è successo. Di colpo Lynch ci scaraventa in uno spazio purpureo e cosmico, ci priva del tutto dei dialoghi e inquina la visione filmica attraverso artifizi stilistici ben precisi. Voci e suoni incomprensibili, rumori fuori campo, riprese “balbuzienti” che avanzano e si riavvolgono di continuo, come a spezzare la continuità spazio-temporale e a ribadire la natura profondamente onirica di ciò che stiamo guardando. Dopotutto in questa sequenza sentiamo anche una “madre” che bussa alla porta con violenza: forse è il cinema sperimentale che vuole entrare nella serialità televisiva?
Gordon Cole e T.P.
Comunque la si interpreti o si sforzi di decifrarla, ciò che si intuisce da subito è che la prima parte della terza puntata omaggia non tanto Twin Peaks e il suo immaginario (comunque raccordato molto bene allo svolgimento di ciò che vediamo) quanto l’approccio assolutamente anti-narrativo di David Lynch al racconto per immagini. Non è un caso, forse, che questo terzo episodio è anche quello in cui il regista ritorna ad essere presente non solo come “mente sognante” ma anche come “corpo recitante” interpretando il personaggio di Gordon Cole, il Capo dell’Ufficio Regionale dell’FBI con i suoi immancabili problemi di udito, un character capace di restituire alla narrazione più classica dei picchi di ironia (ed autoironia) come non avveniva dalla seconda stagione della serie. Insieme al ritorno di Lynch/Cole la terza puntata segna anche un punto di svolta che probabilmente sarà cruciale per il resto di questa annata: fa la sua comparsa infatti l’agente T.P., un personaggio anticipato nel libro Le vite segrete di Twin Peaks e che avrà sicuramente un ruolo centrale nel prosieguo della storia; arriva insomma la conferma che, come qualcuno aveva previsto, molti spunti della terza stagione provengono proprio dall’architettura mitologica ideata e costruita nell’opera avant-pop di Mark Frost.
Fra parodia e nostalgia
Se il terzo episodio è per buona parte cinema lynchiano all’ennesima potenza, il quarto episodio tende a disorientare per l’improvvisa virata verso situazioni grottesche e al limite del comico, come a segnare una distanza dalle tinte oscure e violente delle prime due puntate. Ma Twin Peaks in fondo è stato ed è anche questo. Lo humour nonsense, le gag e gli omaggi parodistici dopotutto non sono una novità per i fan della serie e la quarta parte sembra riprendere quel mood da vera e propria comedy che ogni tanto faceva capolino nella prima stagione. Lo fa attingendo a piene mani da una straordinaria quanto surreale interpretazione di Kyle MacLachlan e giocando con alcune irresistibili caricature di personaggi del cinema del passato, su tutti il Marlon Brando di The Wild One. Non a caso la quarta puntata è al tempo stesso una delle più nostalgiche viste fino ad oggi, con Lynch che si focalizza (per la prima volta in profondità) su alcuni dei personaggi delle vecchie stagioni (come Bobby Briggs), pur non rinunciando ad introdurre nell’episodio anche nuove pedine, impersonate da alcuni degli attori più attesi del nuovo cast: Naomi Watts, Robert Forster e Michael Cera.
E’ probabilmente in questo quarto episodio che Twin Peaks si afferma come unicum capace di mettere assieme passato e presente, vecchi e nuovi characters, nostalgia e proiezioni nel futuro. La sfida per Lynch non era affatto semplice: costruire un’opera televisiva che non fosse un semplice reboot ma allo stesso tempo superare l’ostacolo quasi impossibile di dirigere un sequel a venticinque anni di distanza. Restano ancora la bellezza di quattordici ore per dire se questa sfida è vinta o persa; tuttavia, per quello che abbiamo visto finora, di una cosa non possiamo farne a meno: guardare Lynch con approvazione e mostrargli anche noi quel pollice all’insù (proprio come farebbe Cooper).