Tra le pellicole in concorso al Biografilm Festival 2017, nella sezione Biografilm Italia, è stato presentato in anteprima mondiale un documentario intenso e controverso che, tanto per l’ottima realizzazione quanto per la tematica provocatoria, meriterebbe un’attenzione che difficilmente l’industria di settore saprà riservargli. Si tratta di Funeralopolis: A Suburban Portrait, prodotto da Filmnoize e K28, approdo del giovanissimo Alessandro Redaelli al lungometraggio dopo una manciata di corti realizzati negli ultimi dieci anni.
Funeralopolis racconta le storie di due ragazzi – Lorenzo Passera, in arte Vashish, e Andrea Piva, in arte Felce – che vivono una vita non ordinaria. Vash e Felce infatti sono due tossicomani di Bresso, in provincia di Milano, ed entrambi hanno una dipendenza dall’eroina.
I due passano moltissimo tempo assieme tra rave, concerti hip-hop (i due fanno parte della crew Blacklist) e festini in casa di amici dove ad essere protagonista è sempre la droga. C’è chi lo ha definito il Trainspotting italiano, ma si tratta di una definizione che ad un film del genere non può che stare stretta: Funeralopolis non è finzione, Funeralopolis è reale, con buona pace di tutti quelli che sono convinti che l’eroina nel 2017 non sia più un problema di cui preoccuparsi. Il pensiero semmai va ad Amore Tossico (1983) di Caligari.
Redaelli è stato estremamente abile nell’evitare di imporre al proprio film ogni tipo di giudizio morale, limitandosi a far parlare le immagini e, soprattutto, i suoi due protagonisti, che per quanto controversi possiedono un carisma enorme e un ego smisurato.
Entrambi sembrano mostrare un certo piacere nel raccontarsi senza veli ad un pubblico; per loro stare davanti alla macchina da presa sembra essere del tutto normale, infatti i due sembrano perfettamente a loro agio e non si impongono nessun tipo di censura; vivono una vita ai margini e non tentano di nasconderlo nemmeno per un secondo.
La camera non distoglie mai lo sguardo e mostra senza alcun filtro scene in cui Vash, Felce e i loro amici si iniettano eroina in casa, nel bagno di un treno o per strada, né tantomeno tenta di censurare le volgarità gratuite o le bestemmie.
È proprio questa la forza di Funeralopolis: la sua estrema sincerità. Per girare un film così ci vuole coraggio, soprattutto perché il rischio che si corre confezionando un lavoro tanto distaccato ed oggettivo sulla droga e sulla periferia è quello di venire attaccati sul piano della morale, dato che a molti la mancanza di un giudizio quasi paternalistico sulla vicenda narrata potrebbe dare fastidio.
Funeralopolis però vuole andare in una direzione completamente differente e lo si capisce dalle primissime inquadrature; Funeralopolis vuole in qualche modo portare lo spettatore nel mondo di Vash e Felce e riesce a fargli provare sulla propria pelle ciò che i due vivono tutti i giorni: spesso si arriva quasi a sentire l’ago delle siringhe che penetra nella propria carne e nelle proprie vene.
Redaelli è riuscito a raccontare i suoi due protagonisti – in qualche modo scomodi – lasciando spazio alla loro dimensione umana, ed è proprio questo il suo più grande successo; non è un caso il fatto che il film si intitoli A Suburban Portrait – un ritratto di periferia.
Ad oggi non ci sono notizie chiare su una futura distribuzione nelle sale italiane e il timore è quello di un avvenire che costringerà Funeralopolis allo status di film di nicchia, ma c’è da augurarsi che il coraggio del regista e della produzione venga ripagato sulla lunga distanza.
Funeralopolis – A Suburban Portrait: un Trainspotting milanese (recensione)
Il documentario di Alessandro Redaeli, in anteprima mondiale al Biografilm, racconta la periferia milanese senza filtri o censure.