La Marvel è ormai diventata sinonimo di blockbuster di successo e, sebbene sia legata indissolubilmente all’idea di “universo cinematografico” (concetto nato negli anni ’40 con i monster movie della Universal ) grazie al Marvel Cinematic Universe, verrà ricordata non tanto per la qualità delle pellicole incluse in tale progetto (che rimane comunque decisamente molto alta) quanto per la capacità di influire in modo irremeabile sull’industria culturale contemporanea. Grazie ad una cura meticolosa del proprio pantheon narrativo e a una costruzione eroe-centrica che predilige il legame empatico tra spettatore e protagonista a una drammaturgia più tradizionalmente epica (a differenza per esempio da Batman v Superman della DC), la Marvel è riuscita a mettere in piedi una struttura colossale e magistralmente interconnessa. Attraverso la costruzione di piccole e molteplici storie personali come impalcatura e campo di prova per la creazione di racconti più grandi, la Casa delle Idee ha adoperato un sistema quasi infallibile per utilizzarne le componenti più valide ed abbandonare quelle fallaci, evitando in questo modo pericolosi effetti domino.
Forte della già comprovata egemonia cinematografica, l’MCU è giunto presto ad espandersi in televisione, prima con Agents of S.H.I.E.L.D (cui hanno fatto seguito gli altri show ABC, Fox e Freeform) e poi soprattutto con i tormentati supereroi targati Netflix: puntando al target più adulto tipico del web service di Los Gatos, queste storie di supereroi, più umane e viscerali, hanno rappresentato una ventata di freschezza riuscendo a creare con il pubblico un profondo rapporto emotivo.
Nonostante il crudo e appassionante Daredevil (la cui seconda stagione ha manifestato diversi problemi), l’emotivamente disarmante Jessica Jones, il deludente Luke Cage e il criticatissimo Iron Fist abbiano ben presto mostrato la vulnerabilità di un MCU televisivo che per la prima volta osava qualcosa di meno scontato, l’arrivo di The Defenders era sempre stato atteso come un momento di primaria importanza per la narrativa supereroistica televisiva. Ora che lo show è stato finalmente rilasciato, è lampante quanto il progetto sia lontano dalle aspettative e quanto non sfrutti appieno il proprio potenziale. Col senno di poi, confrontandolo con i team-up cinematografici del MCU, sembra lampante che The Defenders fosse destinato a fallire sin dalla sua nascita.
In estrema sintesi la trama è questa: finalmente entrata in possesso di Black Sky-Elektra Natchios, La Mano, organizzazione criminale già vista in Daredevil ed Iron Fist, si prepara ad impossessarsi dei segreti di K’un-L’un per ottenere la vita eterna. Per farlo dovrà però scontrarsi con i Defenders, eroi uniti dal caso e dal bisogno di giustizia.
L’idea stessa di giustizia è proprio il nodo gordiano di questa serie e di quelle che l’hanno preceduta: con personaggi dalle caratteristiche simili ma dai background agli antipodi, The Defenders riesce a creare conflitti sorprendentemente validi ed una chimica tra i characters in grado di farli evolvere e di soppiantare i lati peggiori delle loro caratterizzazioni. Se però l’unione della squadra di protagonisti riesce a restituire una dinamica decisamente interessante, a circondarli ritroviamo un mondo blando e ricco di personaggi generici e monodimensionali, introdotti velocemente solo per dare ad ogni protagonista un avversario su misura. Se pensiamo che lo show ha avuto ben 5 stagioni da 13 puntate l’una per costruire il proprio universo, viene da pensare che alla base del progetto Netflix ci sia stato un serio problema di frammentazione e poca lungimiranza in fase di scrittura. Inoltre, anche quei comprimari ben definiti che avevamo imparato a conoscere in passato vengono qui ridotti a macchiette prive di fascino. La stessa Mano, il cui solo nome dovrebbe ormai bastare a incutere timore reverenziale (e non solo), finisce per sembrare una presenza pretestuosa, e il presunto fascino di un culto oscuro della morte e di un clan di super-ninja si risolve in una presenza a tratti addirittura noiosa – complici le coreografie dei combattimenti, che a volte ricordano un B-movie. Certo, Sigourney Weaver nei panni della intrigante e complessa Alexandra è semplicemente superlativa, ma nell’insieme la sua presenza non basta a salvare la serie.
La tecnica registica dietro ad ogni episodio è perlopiù valida, con movimenti di macchina fluidi e complessi realizzati con grande estro e classe, ma questo vale soprattutto per i primi episodi e le scene stand-alone, dove ogni protagonista è immerso nel proprio mondo visivamente riconoscibile (forse la componente più affascinante della serie). A ciascun eroe corrisponde una diversa composizione cromatica e stilistica: con Daredevil dominano il rosso sangue e le luci urbane, con Jessica Jones il blu e le atmosfere poliziesche/noir, Luke Cage è immerso nel giallo e nel linguaggio gangsta/retro hip-hop mentre Iron Fist si muove tra luci verdi e in poco riuscite ambientazioni orientaleggianti. Uno degli aspetti davvero affascinanti di The Defenders è come la composizione delle luci, nelle scene in cui i protagonisti sono riuniti, brilli con tutte le loro sfumature, solidificando visivamente la loro unione. Tuttavia, andando avanti, queste atmosfere diventano monocromaticamente scure e scenograficamente trascurate (fatta eccezione per alcune scene dell’ultimo episodio), come se una progressiva perdita di attenzione verso la fotografia fosse la metafora del decadimento qualitativo dello show; un decadimento che coinvolge anche e soprattutto una regia spesso incapace di raccontare l’azione senza risultare involontariamente ridicola.
Alla base di tutti questi difetti c’è probabilmente una programmazione a tavolino fin troppo rigida e priva di alternative: l’antagonista non è il personaggio più amato o meglio caratterizzato delle produzioni passate, e lo stesso vale per i protagonisti. Gli autori non riescono a sfruttare il limitato minutaggio a disposizione per sviluppare adeguatamente la loro caratterizzazione e per far evolvere gli archi narrativi, e così lo show rimane intrappolato in un banale intreccio fin troppo prevedibile.
In definitiva, nonostante molti spunti decisamente interessanti, The Defenders finisce per assomigliare più ad un insieme di episodi crossover mal elaborati, non riuscendo a ripetere la formula vincente dell’universo cinematografico e confermando invece la parabola discendente delle serie Marvel/Netflix. Non rimane che sperare nel ritorno di The Punisher, che pare avere tutte le carte in regola per risollevare le sorti di un mondo narrativo che per ora pare invecchiato precocemente.
The Defenders: l’unione non fa la forza (recensione)
Il nuovo show Netflix che vede riuniti i quattro supereroi della Marvel è un esperimento interessante ma non del tutto riuscito.