La figura del celeberrimo narcotrafficante colombiano Pablo Escobar ha ispirato, soprattutto negli ultimi anni, il cinema e la televisione: oltre alla famosa serie Netflix Narcos, nel 2014 (da noi uscito sola nel 2016) è stata anche prodotta la pellicola Escobar diretta dall’italiano Andrea Di Stefano, con Benicio Del Toro nei panni del pericoloso criminale (da segnalare anche lo show televisivo Pablo Escobar: El Patron del Mal). Il lungometraggio del talentuoso regista spagnolo Fernando León De Aranoa (I Lunedì al Sole, Perfect Day) Loving Pablo, presentato fuori concorso alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con protagonisti Javier Bardem e Penelope Cruz, vuole invece raccontare il boss da un altro punto di vista, quello della storica amante Virginia Vallejo.
Il film si sviluppa in un arco narrativo che va dagli anni Ottanta fino agli inizi degli anni Novanta.
Loving Pablo racconta l’ascesa di Escobar (Javier Bardem), la lotta contro l’estradizione negli USA e il rapporto con la giornalista Virginia Vallejo (Penelope Cruz), che ebbe una storia col narcotrafficante ma, arrivata al punto di temere per la propria vita, decise di collaborare con la giustizia favorendo la sua uccisione nel dicembre del 1993.
La pellicola, che avrebbe dovuto mostrare il criminale colombiano sotto un’altra luce, si rivela invece l’ennesimo biopic di cui non se ne sentiva alcuna necessità.
Ispirato al libro Amando Pablo Odiando Escobar della stessa Vallejo, l’opera ripercorre tutte le fasi salienti della carriera criminale del trafficante di cocaina più famoso e ricco di tutti i tempi: attraverso l’utilizzo massiccio del voiceover (proprio come in Narcos), il personaggio interpretato da Penelope Cruz racconta la sua esperienza sentimentale con il boss colombiano, un rapporto di amore-odio che ha rovinato l’esistenza ad entrambi. Loving Pablo poteva essere un prodotto interessante per far luce sull’Escobar privato, capire le motivazioni che hanno portato quest’uomo a seminare il terrore nel proprio paese per quasi un ventennio; la pellicola però mette questo discorso in secondo piano privilegiando, ancora una volta, l’aspetto meramente biografico della nascita (e morte) del cartello di Medellín. Loving Pablo, di per sé, non è un brutto film: nei 123 minuti di durata non ci si annoia mai e Fernando León De Aranoa dimostra anche qui di essere un regista che sa fare bene il proprio lavoro (ci sono almeno un paio di sequenze tecnicamente difficili girate in modo impeccabile). Tuttavia, data la natura similare delle due opere, è impossibile sottrarci dal paragone con la serie Netflix e, ovviamente, Loving Pablo ne esce con le ossa rotta dall’impietoso confronto. Certo, è più difficile sviluppare una trama così complessa quando si hanno a disposizione solo due ore (contro le quasi venti delle prime due stagioni di Narcos) ma il film voluto fortemente da Javier Bardem, qui nelle vesti anche di produttore, ha diversi problemi: il personaggio di Pablo Escobar, nonostante il lavoro svolto dall’attore spagnolo, non è sufficientemente carismatico e il character della Vallejo non è così centrale all’interno della storia come ci si potrebbe immaginare; inoltre le interpretazioni dei due divi, legati sentimentalmente nella vita vera, non sono all’altezza del loro talento nonostante abbiano già lavorato insieme in passato (questa è la loro quinta collaborazione professionale). Il difetto maggiore di Loving Pablo però è un altro: nel film infatti prevale la commedia rispetto al lato drammatico; se da una parte la scelta di León De Aranoa permette all’opera di discostarsi da Narcos, dall’altra il regista compie un errore gravissimo ovvero quello di rendere Escobar simpatico agli occhi del pubblico. Il grande merito dello show Netflix è mostrare il narcotrafficante per quello che era, uno spietato uomo di potere pluriomicida disposto a qualunque cosa pur di mantenere il suo impero, un ritratto che nel film del cineasta spagnolo non emerge minimamente. Proprio per questo motivo Loving Pablo, al netto delle poche cose buone fatte intravedere (tra cui il personaggio impersonato da un bravo Peter Sarsgaard), rappresenta un’enorme occasione persa.