A trentacinque anni dal debutto nelle sale, la piattaforma streaming on demand Infinity ha curato il restauro di Borotalco, cult della commedia italiana firmato da Carlo Verdone. In occasione della presentazione avvenuta a Roma del lavoro di recupero, il grande attore e regista romano, insieme a Eleonora Giorgi, ha avuto modo di tornare sulla pellicola, riflettendo sul suo significato in un incontro scherzoso e divertente.
Borotalco ha trentacinque anni, ed è stato il terzo film che hai diretto, ma ha anche segnato una svolta nella tua carriera: ha un tema unico, con un solo protagonista. Non porta in scena una molteplicità di personaggi in un formato episodico, a differenza dei tuoi precedenti lavori. Eri pronto per questo cambiamento?
Verdone: Questo film è stato una scommessa, e ha segnato il mio destino. Tutti i produttori mi avevano inquadrato come un attore che interpretava caratteri, dovevo dimostrare di essere in grado di eseguire un solo personaggio in una storia a tema unico. La ricerca del soggetto è durata più di un anno, proprio perché non potevo sbagliare. Ero molto sotto pressione per questo film. Io e Oldoini (sceneggiatore. n.d.r.) stavamo al Cinema Corso ad aspettare che finisse la prima, e dovevamo anche andare in bagno: facevamo a gara a chi resisteva di più. Finalmente la proiezione terminò e uscirono gli spettatori. Sentii una coppia dire “sono morto dalle risate” con una spontaneità tale che fu come se mi fossi tolto un peso di cento chili dal petto: ce l’avevo fatta.
Quali potrebbero essere oggi i nuovi Sergio e Nadia?
Verdone: probabilmente oggi sarebbero ragazzi molto più disincantati. Negli anni ’80 c’era molta più leggerezza: ora tutto sarebbe più pesante, con più problemi. Le chiacchierate mitomani nel salotto di Nadia (Eleonora Giorgi, n.d.r.) non sarebbero mai avvenute. Qualcuno si sarebbe andato a fare le canne, qualcuno avrebbe parlato della sua depressione, o del primo appuntamento dall’analista. I giovani di allora, per i quali un mito cadeva quando se ne scopriva l’omosessualità, sono profondamente diversi dai giovani di oggi, ai quali non interessa assolutamente nulla che Kevin Spacey abbia fatto coming out.
Quali sono gli elementi che rendono il film ancora attuale?
Giorgi: Ancora oggi i giovani si immedesimano in Nadia e Sergio. I temi portanti del film, ad esempio la tenera insicurezza di Giorgio, rimandano a situazioni che si rinnovano a ogni generazione.
Cosa ha reso questo film ora e allora un cult?
Verdone: l’amabilità e il candore dei personaggi. Le fragilità, le mitomanie, che in quel periodo appartenevano un po’ a tutti. E poi le battute, vere, sincere, costruite sui tempi recitativi. Molte sono nate mentre giravamo: più ne trovavo, più me ne venivano e più significava che stavo dentro al film. Non chiedetemi il meccanismo d’azione: non so perché funzionino, non ne capisco bene il motivo, l’importante è che lo facciano.
Qualche aneddoto sul film?
Giorgi: stavo pranzando a Los Angeles con un gruppo di attori molto famosi. A un certo punto sento dei ragazzi romani dietro di me. Quando mi vedono, si precipitano al tavolo, e io gli dico: “Ragazzi guardate che c’è anche Jack Nicholson” Rimasi spiazzata dalla loro risposta “Ma che ce frega di Nicholson, c’è la Giorgi, Verdone, Borotalco!”
Verdone: Lucio Dalla mi chiamò la sera che precedette la prima, arrabbiatissimo, e disse: “Come hai potuto permettere che il mio nome su quel cartellone pubblicitario fosse più grande del tuo! Sembra che sia stato io a dirigere il film”, io gli risposi che era stata una scelta della distribuzione. Chiuse la conversazione dicendo che il giorno dopo sarebbe andato a vedere la prima. Quando arrivò in sala gli dissero che i posti erano finiti. A lui non interessó nulla, entrò e si stese per terra: vide il film in quel modo.
Giorgi: io purtroppo non ho mai visto il film in sala, lo farò per la prima volta in occasione di questo restauro. Due settimane dopo la fine delle riprese sono partita per il Marocco, per girare un film con Mastroianni, e avevo una rabbia enorme in corpo perché mi arrivarono decine di telefonate e messaggi in cui tutti mi facevano i complimenti per il film, e io non ero in Italia. Poi c’è da raccontare come è nata e che seguito ha avuto l’idea di intitolare il film “Borotalco”. Carlo era al telefono con me e mi stava descrivendo il film. Mi stava dicendo: “Il film è leggero, come una nuvola, come Borotalco, ti piace questo titolo?”
Verdone: Dopo che il film fu uscito, andai dal produttore, e gli dissi “Ora che il film si è dimostrato un successo puoi ammettere che Borotalco è un gran titolo” lui non disse niente, e tirò fuori una lettera di Manetti&Roberts (proprietari della società che produce il Borotalco, NdR) in cui ci avvertivano che ci avrebbero fatto causa perché avevamo usato il nome del loro prodotto. Ammetto che pensavo che il Borotalco fosse il nome di un agente chimico o qualcosa del genere. Andammo da loro e ne parlammo. Gli mostrammo gli incassi del film e si quietarono: viste le cifre, probabilmente ci avrebbero dovuto pagare loro per l’immensa pubblicità che gli stavamo facendo.
Al termine di questa lunga carrellata, Carlo Verdone chiude l’incontro organizzato dalla Festa del Cinema di Roma con una punta di emozione: “Fare queste interviste, questi incontri come se Borotalco fosse un film che deve ancora uscire mi emoziona: ha trentacinque anni, e ne stiamo ancora parlando. Non nascondo che mi metta anche un po’ di malinconia, perché penso a tutti i collaboratori che hanno impreziosito il film, che ora non ci sono più, ma grazie ai quali Borotalco è Borotalco, e a cui dedico la proiezione restaurata”