Diventato noto al grande pubblico grazie alle interpretazioni di Gandalf ne Il Signore degli Anelli e di Magneto nella saga degli X-Men, ma ancor prima celebratissimo interprete teatrale, il britannico Sir Ian McKellen è uno dei volti più noti, amati e autorevoli del cinema contemporaneo. Abbiamo avuto modo di incontrare il grande attore a Roma, dove si è regalato a una platea rapita del suo carisma, in una conferenza moderata da Antonio Monda nella cornice della Festa del Cinema di Roma.
William Shakespeare come ha plasmato la sua vita d’artista?
Mi ha sempre colpito il fatto che il più grande inglese mai vissuto sia stato un drammaturgo. Shakespeare è padre di tutti noi: ci capiva e ci capisce meglio di chiunque altro, era un profondo conoscitore della natura umana. L’oste lo affascinava quanto il re. È per questo che è ancora tra noi: la natura dell’uomo non è cambiata in 450 anni. Quando interpreto Shakespeare mi immagino sempre che lui si sia allontanato per un attimo dalla scena, magari per andare in bagno, e tornando all’improvviso gridi: “Che diavolo state facendo con la mia opera?”. Penso che sia giusto che Shakespeare riviva nei teatri, l’ho portato spesso sul palcoscenico ma ritengo che esso vada visto anche attraverso i media moderni: voglio portarlo davanti a un pubblico mondiale.
Lei ha anche recitato nella sitcom Vicious. Perché?
Perché non avrei dovuto? Di questi tempi partecipo spesso anche ai talk show: non penso che siano ad un livello inferiore rispetto al cinema o al teatro. Ognuno di questi mezzi di comunicazione ha la sua potenza. Ma quello che mi affascina di più è il teatro: è dal vivo, è per oggi, è per noi, è vera condivisione. Voglio fare a meno del microfono per dire che il teatro dal vivo è vita. L’unica cosa che mi rimane da fare è un musical. Magari quando sarò grande canterò proprio come Sting.
Molti personaggi che lei interpreta, come nel caso de L’Allievo, dialogano con i fantasmi di un passato ingombrante. Come lavora per entrare nella parte?
Nel caso specifico, interpreto un vecchio nazista. Quando ero piccolo mi nascondevo sotto un tavolo di ferro quando arrivavano le bombe tedesche: conoscevo i nazisti. La guerra era parte della nostra quotidianità e mi chiedo ancora oggi cosa abbia potuto portare a ciò. Ero bambino, ma se fossi stato adulto? Non si può dire di essere uomo fin quando non ci si pone delle domande. Se il mio paese dovesse imputridire sarebbe anche colpa mia. Fare l’attore significa anche capire cosa possiamo fare e diventare, potendo esplorare queste realtà nella finzione.
La trama di X-Men viene dai fumetti, che hanno una matrice differente rispetto a Shakespeare.
Il regista, dal momento che io non conoscevo il fumetto, mi disse che si trattava di mutanti che incutevano timore e, nella migliore delle ipotesi, venivano ignorati. La Marvel condusse un’analisi sul profilo demografico dei lettori e scoprì che la maggior parte condividevano una sensazione di disagio nei confronti della società: i lettori più assidui erano neri, ebrei e gay. Il film, in fondo, tratta dei diritti civili: che risposta puoi dare quando ti dicono che non sei benvenuto nella società? Integrazione, che è la risposta che io condivido, o esclusione? Questa è la posizione del mio personaggio.
Ci racconti: che atmosfera c’era durante le riprese del Signore degli Anelli?
Abbiamo fatto sei film. Sulla spalla destra (si sbottona la camicia per mostrarcelo, N.d.R.) ho un tatuaggio: ce lo siamo fatto tutti quando sono terminate le riprese. Eravamo una compagnia anche noi. Abbiamo viaggiato tanto in Nuova Zelanda ma sembrava più un lungo viaggio con gli amici. Amo la Nuova Zelanda. Seppi che era stata scelta un’immagine di Gandalf per un francobollo. Ma non abbiamo girato solo sequenze all’aperto. Mi dispiace distruggere il pathos della scena ma il ponte su cui grido la famosa frase “Tu non puoi passare” non era altro che una linea gialla in una sala prove e in quella stessa scena chiesi a Jackson: “Puoi darmi un’idea di come potrebbe essere il Balrog (uno dei mostri del Signore degli Anelli, N.d.R.)?”. E lui mi disse: “Non ne ho la più pallida idea, so solo che sarà molto grande e molto brutto”, poi prese una pallina da tennis, la mise su un palo e disse: “Questo è il Balrog”. Probabilmente Gandalf avrebbe detto “Tu non puoi rimbalzare, pallina”.
Il giorno degli Oscar le chiesero: “Pensi di vincere l’Oscar con il tuo ruolo in Demoni e Dei?” e lei rispose: “No, perché sono inglese e sono gay”. Pensa che sia ancora valida questa affermazione oggi?
Quel film fu una svolta nella mia carriera. Fui il protagonista di una pellicola che ebbe innumerevoli riconoscimenti dalla critica e dal pubblico. James Whale era il regista più pagato degli anni ’30 ed era apertamente gay, tutta Hollywood sapeva e nessuno era scandalizzato. Per questo quando la gente mi dice “Non posso fare questo lavoro, perché sono gay” io rispondo sempre: “Guarda Demoni e Dei, vedrai che ti stai sbagliando”.
Come suo film preferito lei ha scelto Le Vacanze di Monsieur Hulot. Come mai?
Vidi il film quando avevo 50 anni e scoprii che si potevano fare film anche fuori dalla mia realtà. Jacques Tati era un comico, veniva dal teatro e quindi conosceva l’importanza della parola, ma, se notate, il film è quasi interamente muto. Nel cinema l’immagine è molto più importante rispetto al suono, Tati comprese che questa è un’esperienza molto più visiva. Voglio dire una cosa agli studenti di cinema: chiedetevi sempre se è la parola o l’immagine a fare la forza di un film.