Tra perversioni sdoganate, cliché a pioggia e la volontà di fare incassi facili a San Valentino, la storia di Anastasia Steele (Dakota Johnson) e Christian Grey (Jamie Dornan) è giunta all’epilogo. È arrivato in sala Cinquanta Sfumature di Rosso (Fifty Shades Freed) terzo capitolo della fortunata saga letteraria scritta da E. L. James e adattata per il grande schermo da Niall Leonard.
Accantonata l’esperienza del primo film del 2015, Cinquanta Sfumature di Grigio, diretto dalla talentuosa Sam Taylor-Johnson (licenziata per divergenze creative con l’autrice) la produzione ha deciso di affidare la regia a James Foley che ha girato insieme Cinquanta Sfumature di Nero e Cinquanta Sfumature di Rosso, chiudendo definitivamente questo successo di pubblico, che con i primi due capitoli ha incassato oltre 900 milioni di dollari al botteghino.
Cinquanta Sfumature di Rosso segue l’iter della saga senza slanci creativi
Il film come il libro, portando a termine il compitino di far “sognare” il suo target tanto specifico quanto sorprendentemente vasto, ne ferisce al contempo autostima e personalità – caratteristiche che la protagonista Anastasia ostenta, ma che puntualmente è disposta a mettere da parte a fronte dell’ego spropositato del compagno avvezzo un certo tipo di sadismo psicologico e sessuale.
Dopo due anni di amore all’insegna dal sempre presente fil rouge del BDSM (un insieme di pratiche sessuali che comprendono bondage, dominazione e sadismo), Ana e Christian coronano il loro sogno d’amore con un bel matrimonio in stile Beautiful: pizzi e merletti accompagnano una raggiante e candida donna all’altare mentre in cielo si alzano gli elicotteri della Grey Enterprises, la holding del ricchissimo Christian, che non bada a spese per una sfavillante luna di miele in Costa Azzurra.
Una minaccia dal passato incombe sulla coppia di sposini
Tutto sembra andare per il verso giusto e il sogno ad occhi aperti di Ana si è finalmente avverato, ma un fastidioso stuolo di guardie del corpo segue la coppia costantemente, creando un certo disagio nella innocente ragazzina, che pur accettando i ricatti sessuali del marito a fronte di una vita da principessa, resta sempre una provincialotta che ama cucinare succulente bistecche invece che boeuf bourguignon.
A turbare ulteriormente gli equilibri della coppia è la presenza minacciosa dell’ex capo di lei, Jack Hyde (Eric Johnson), che dopo aver tentato un’aggressione sessuale nei suoi confronti, è stato allontanato dalla casa editrice che dirigeva, per poi esser sostituito proprio dalla ex stagista Ana (piazzata lì dal bel marito, che con i suoi milioni ottiene sempre quello che vuole, compresa l’azienda di Hyde).
Se la presenza costante dell’ex direttore editoriale allerta i coniugi Grey – che tra una frustatina e l’altra vorrebbero soltanto godersi in santa pace il matrimonio – e una crescente gelosia contribuisce a creare i primi attriti, sarà però un altro l’avvenimento inaspettato che cambierà le loro vite per sempre.
L’ultimo film di una saga commerciale al tramonto
Senza troppi giri di parole Cinquanta Sfumature di Rosso è un prodotto cinematografico profondamente anacronistico nella sua concezione, e a tratti addirittura indegno di questo nome, se si pensa che la sua confezione tecnica ai limiti del dilettantistico lo fa assomigliare piuttosto a un’accozzaglia di sequenze montate come un filmino di coppia.
Completamente privo di pathos, interamente costruito su un erotismo finto e malinteso, volgare nella sua stessa essenza, Cinquanta Sfumature di Rosso è una barbara operazione commerciale destinata prevalentemente a un pubblico che all’animatissimo dibattito sulla parità di genere che ha caratterizzato gli ultimi tempi preferisce personaggi di cartone su cui proiettare frustrazioni borghesi.
Ogni tentativo di un’analisi critica della pellicola si infrange sul nascere contro la stessa performance dei protagonisti, consapevoli ingranaggi di una macchina da soldi che, muovendosi sulla scena come pesci in un acquario, infondono un senso di umana compassione in chi li osserva.
Dakota Johnson e Jamie Dornan, con i loro volti distorti dalla finzione scenica ma incapaci di nascondere un certo disagio, sembrano infatti tradire l’unico sprazzo di verità in questo prodotto pop cui comunque devono molto.
Gli attori non riescono a salvare un film che è una parodia di se stesso
Sarebbe interessante condurre uno studio approfondito su quei fenomeni psicologici, comportamentali e socio-antropologici che nel 2018 possono ancora decretare il successo di un racconto rosa che descrive la donna come un mero oggetto sessuale, l’uomo come possessivo e dominante, le persone, il lavoro e i sentimenti come funzioni del denaro, e l’animo umano come accessorio poco interessante che si accompagna a un ‘erotismo’ senza mistero.
Quello di E. L. James è un mondo che non solo risulta lontanissimo dal sentire del nostro tempo, ma anche da quella letteratura e quell’arte cui l’autrice dice di essersi ispirata: non vi è infatti alcuna traccia di quella ricerca del piacere perseguita fino alla morte dal Marchese De Sade o delle rappresentazioni più erotiche di artisti come Klimt e Schiele. Se però paradossalmente in un malato eccesso di solidarietà verso il movimento #metoo la Manchester Art Gallery arriva a censurare Ila e le Ninfe di Waterhouse, o se i social dopo 152 anni perpetuano la censura dell’Origine del Mondo di Gustave Courbet, c’è la ragionevole probabilità che nei prossimi giorni vi ritroverete circondati da banner destinati a promuovere un prodotto la cui natura è ben più offensiva di qualche immagine di nudo.
Alla luce delle suddette considerazioni, sappiate che troverete appassionante l’ultimo episodio della Fifty-Shades Saga solo se sognate un uomo consumato da un desiderio di dominio nei vostri confronti, se ritenete che una vita da ‘schiave’ sia il giusto prezzo per una facile carriera, se giudicate normale dover chiedere il permesso anche solo per bere un drink e se siete rassegnate all’idea che il massimo che il genere maschile abbia da offrire sia una sadica prepotenza.
Non abbiamo dubbi che anche stavolta la saga farà registrare ottimi risultati al box office – d’altronde è ‘solo’ cinema – ma l’idea che un’ampia fetta di mondo ancora si appassioni a modelli sociali tanto consunti suscita un dolore molto meno piacevole di quello che anima i giochi erotici di Ana e Christian.