Il Giustiziere Della Notte fa parte del prestigioso club delle pellicole controverse in grado di dividere il pubblico: amato ed odiato allo stesso tempo, il film di Michael Winner con protagonista l’indimenticabile Charles Bronson fin dalla sua uscita ha suscitato forti polemiche. Considerata da parte della critica dell’epoca un’opera fascista e reazionaria, il cult del 1974, oltre ad aver creato la figura dell’action hero americano moderno (contribuendo alla nascita del filone cinematografico che ha reso celebri negli anni ‘80 icone come Van Damme e Schwarzenegger), pone in realtà questioni esistenziali e morali non indifferenti, rappresentando un personaggio ambiguo come Paul Kersey che, spinto dalla vendetta e dall’incapacità delle forze dell’ordine, prende la decisione di fare piazza pulita del crimine da solo. Ventiquattro anni dopo l’ultimo capitolo della saga, che comprende ben cinque film, la Metro-Goldwin-Mayer rispolvera questo franchise con un remake diretto dal regista di Hostel Eli Roth, sulla carta molto rischioso (Il Giustiziere Della Notte esce in sala da noi l’8 marzo grazie a Eagle Pictures).
BRUCE WILLIS È IL NUOVO PAUL KERSEY
Il dottor Paul Kersey (Bruce Willis) ha una vita invidiabile: è un brillante chirurgo con una famiglia praticamente perfetta, composta dalla moglie Lucy (Elisabeth Shue) e dalla figlia Jordan (Camila Morrone). Un giorno però alcuni malviventi, durante un tentativo di rapina all’interno della sua abitazione, uccidono Lucy mentre Jordan, dopo aver sfidato disperatamente i criminali, entra in coma. Paul non sa come reagire a questa situazione e, con l’appoggio del fratello Frank (Vincent D’Onofrio) e dei detective Raines (Dean Norris) e Jackson (Kimberly Elise), cerca di fare luce sull’accaduto. Tuttavia, quando la polizia mostra a Kersey l’elevato numero di casi irrisolti, dentro di lui scatta qualcosa: sfiduciato dall’operato dei poliziotti, una notte il medico decide di agire in prima persona per ottenere giustizia.
UN REMAKE CHE NON HA NULLA IN COMUNE CON IL FILM ORIGINALE
Se la pellicola di Winner era un noir metropolitano ambientato in una New York logorata dalla violenza e dalla criminalità, il remake del 2018 è un prodotto completamente diverso. Scritto da Joe Carnahan (The Grey), il lavoro di Eli Roth non vuole mettere in evidenza l’evoluzione psicologica dell’antieroe ma il suo obiettivo primario è quello di intrattenere. Come popcorn movie Il Giustiziere Della Notte funziona bene: il film dà il meglio di sé nelle scene action e pulp riuscendo ad alternare humour e tensione (c’è anche spazio per il torture porn). La gestione del ritmo è impeccabile (elemento da non trascurare) e, grazie ad un buon cast (dove emergono Vincent D’Onofrio e Dean Norris, su Bruce Willis torneremo dopo), i 107 minuti di durata filano via lisci. Tuttavia Il Giustiziere Della Notte ha un problema fondamentale: quando vuole essere drammatico non è mai credibile.
È vero, il lungometraggio non è stato concepito per fare un’analisi sulla natura umana (tutt’altro) però la componente tragica, necessaria per costruire la caratterizzazione di un personaggio complesso come Kersey, è praticamente inesistente. Per rendere meglio l’idea possiamo prendere come metro di paragone John Wick: se il revenge movie di Chad Stahelski e David Leitch porta il pubblico a parteggiare per un protagonista distrutto da un lutto (nonostante sia un killer infallibile), il film di Roth non crea le premesse giuste per avviare questo processo; chi guarda non prova alcun tipo di empatia per Paul Kersey. Inoltre anche i cambi troppo repentini di tono tra una scena e l’altra penalizzano l’opera mentre l’interpretazione di Bruce Willis è lo specchio perfetto dell’ultima fatica di Eli Roth: l’attore americano, con il suo volto qui inespressivo, è a suo agio nei panni dell’action hero (non mancano i momenti alla Die Hard) ma fatica tantissimo nelle sequenze più serie.
Accolto da pesanti critiche in America (reo, secondo molti critici, di essere un film di propaganda a favore delle armi) Il Giustiziere Della Notte tocca temi importanti solo superficialmente, neanche in maniera troppo convinta (il messaggio sulla giustizia personale risulta più ambiguo dell’originale). La scelta da parte del cineasta di prediligere un approccio più votato all’entertainment è legittimo (si tratta pur sempre di un prodotto commerciale) tuttavia il remake rappresenta, nonostante i suoi pregi, un’occasione persa.