Quando Billions fu trasmessa per la prima volta, nel 2012, non sembrava che potesse diventare questo. Era una storia sul potere, sulla lotta fra due titani; qualcosa che non sembrava nuovo. Dopo aver visto le prime due puntate della terza stagione, in anteprima nazionale al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018, non si può che apprezzare il grande miglioramento, quasi miracoloso, della serie di Showtime. Ciò è dovuto principalmente (ma non solo) ad un fattore: i personaggi secondari.
LA DURA VITA DELLA MOGLIE
C’è una celebre frase, attribuita a Virginia Woolf, che negli ultimi anni ha perso quasi completamente significato: “Dietro ogni uomo c’è sempre una grande donna”. Prendete Wendy Rhoades (Maggie Stiff), moglie (nonché “dominatrix”) di Chuck e psicologa di Axe. Li ha entrambi in pugno; il primo lo seduce con un geniale eloquio feticista e il secondo lo possiede con l’intelletto. Wendy è molto più grande dei due protagonisti. Ogni qualvolta la vediamo in scena pensiamo che una sua parola, un suo gesto potrebbe risolvere la contesa a favore dell’uno o dell’altro. Essa è una “Femme Fatale” reinventata: un’accademica che alterna momenti di sedute psichiatrica in “tailleur” a lunghe pratiche sadomaso in tacchi a spillo, come una perfetta venus in furs.
Lara Axelrod (Malin Akerman), invece, dopo aver lavorato per anni come “moglie”, si trova sul piede di guerra. Separatasi da Axe, si presenta alla sua azienda decisa a riprendersi i soldi per investirli in un altro fondo e lo redarguisce per la poca attenzione verso i figli. Per anni ha “sopportato” una vita passiva, come compagna di un uomo di potente e non come collega. Lara non è Claire Underwood.
Nel periodo più difficile della vita dell’ex marito lei si trova, finalmente, con il coltello dalla parte del manico: I loro figli vivono con lei. E ricordate il dialogo più famoso della serie, al finale della prima stagione? “L’unico nemico più pericolo di un uomo dalle risorse illimitate è un uomo che non ha nulla da perdere.”
IL PESO DELLA POLITICA
L’elezione di Trump ha monopolizzato, almeno negli Stati Uniti, il mondo dell’intrattenimento. Satira e riflessioni politiche hanno attraversato l’audiovisivo in modo ossessivo negli ultimi due anni, per poi andare scemando col tempo. Tuttavia, sulla scorta di questi dati, Billions non poteva in alcun modo prescindere dall’humus politico americano.
La mentalità di Trump è metaforicamente riportata con il nuovo Procuratore di New York, lo splendido texano Jock Jeffcoat, interpretato da Clancy Brown. Il sostituto di Chuck porta gli stivali, riceve in ufficio con i piedi sul tavolo e annuncia con noncuranza che “non perseguirà più i colletti bianchi di Wall Street.”. Sta dalla parte di Bobby, del libero mercato e del conservatorismo secondo il quale “I soldi sono miei e non me li porterete via”. Meno tasse e più muri.
Anche il giudice che dovrebbe presiedere il processo, tale “Funt”, è un “nemico” della pratica di intervenire nel mondo degli affari. Con questi presupposti, nonostante Axe sia nitidamente colpevole, incriminarlo diventa un’impresa ancor più titanica. Come alleato di Chuck vi è un giovane avvocato dalla solida fibra morale, disposto a scendere a compromessi per assicurare che la giustizia faccia il suo corso.
Questa terza stagione sarà una sfida fra l’America trumpista e non, fra i conservatori e i progressisti e, se vogliamo, fra la destra e la sinistra. Tuttavia, rendere in immagini questo duello, in modo così sottile e intelligente non è cosa da poco.
LA CRISI DI BOBBY
Dicevamo: “Un uomo con niente da perdere”. Bobby Axelrod, in questo preciso momento narrativo, potrebbe invece perdere tutto: la famiglia e l’impero. Durante la prima stagione, uno dei lavoratori della Axe Capital definiva il suo capo come un “monaco benedettino”, poiché egli aveva centinaia di cose da tenere in mente, una pressione che pesa miliardi di dollari e la consapevolezza di dover prendere decisioni che sarebbero capaci di cambiare gli Stati Uniti. Per questo egli era un monaco: poiché manteneva la calma.
Axe sembra sempre avere tutto sotto controllo; dalla sua stanza dei bottoni, in questo caso casa sua, cerca di divincolarsi dalla presa della legge americana. Il suo impero è affidato alla Brandy Epps di Orange is the new black, Asia Kate Dillon. Un’attrice da un fascino incredibile, androgina fisicamente e un vero e proprio automa nel comportamento. Tono di voce che non varia, capacità di comando e di decision making proprio di una macchina. Ad essa è affidata la direzione della Axe Capital, poiché i fondi di Bobby sono congelati e sarebbe contro la legge se parlasse di affari con Taylor Mason.
Dunque, cosa rimane a Bobby? Riceve donne diverse ogni sera, certo. Eppure quando tocca a lui vedere i figli li trascura (bellissimo l’arrivo alla partita di baseball), si pone a muso duro contro la moglie e vede il suo impero, quello che con tanta fatica ha costruito, mentre viene gestito da una nuova, seppur geniale, amministratrice. Perde la sua aurea di titano, addirittura lo vediamo in momenti di debolezza, come quando cerca di vendere una macchina a Mark Cuban (proprietario dei Dallas Mavericks, nonché Tycoon americano).
L’EVOLUZIONE DI BILLIONS
Billions è diventata, realmente, un’ottima serie. Come una squadra che migliora negli anni, non ha apportato cambiamenti in autori o attori: ha fatto semplicemente in modo di farli lavorare tutti serenamente, con un’alchimia che progressivamente è andato migliorando. Ora che il futuro di House of cards è tutto fuorché deciso, la serie di Showtime potrebbe diventare la più importante serie americana che tratta di “potere”. Certo, rimangono alcuni difetti delle precedenti stagioni: le questioni economiche vengono sempre mal spiegate, le battute di “Wags” continuano a essere troppe e poco divertenti e Malin Akerman rimane un’attrice non all’altezza del personaggio.
Al netto di questi difetti, però, questa terza stagione promette di continuare il “trend” positivo delle prime due: migliore episodio dopo episodio, capitolo dopo capitolo.