La prima giornata del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 regala da subito l’incontro con una camaleontica interprete della satira contemporanea nonché documentarista di grande successo, da sempre divisa tra comicità e impegno sociale. Parliamo di Sabina Guzzanti, talento poliedrico che nel corso degli anni ha lasciato il segno tra TV e cinema.
Dopo il successo negli anni ’90 con gli show comici condotti sulla Rai da Serena Dandini (primo fra tutti La TV delle Ragazze), regala di programma in programma una memorabile galleria di caricature, destinata a una lunga pausa ‘politica’ nei primi anni 2000, interrotta dalla parentesi ribelle e fulminea di Raiot.
Sarà solo nel 2012 che la Guzzanti tornerà all’intrattenimento televisivo su LA7 con Un Due Tre Stella, ma nel frattempo inizierà con successo a dedicarsi alla regia di documentari (e mockumentary), con film come Viva Zapatero!, La Trattativa, Draquila – L’Italia che trema e Le ragioni dell’aragosta, ottenendo un’ottima accoglienza alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, al Festival de Cannes, al Festival di San Sebastiàn e al Sundance Film Festival. Nel 2016 debutta sul web con la ‘striscia’ TG Porco.
Al Lucca Film Festival la Guzzanti è protagonista di un’interessante conversazione aperta, tenutasi al Teatro del Giglio e moderata da Silvia Bizio.
Come è iniziata la tua esperienza con il cinema documentario?
Il mio debutto nel mondo del documentario con Viva Zapatero! nacque per necessità, dopo la censura politica da parte della Rai. Fu lì che iniziai a sentire il bisogno di raccontare un certo mondo, e, anzi, potrei dire che quel film nacque per volontà di ‘vendetta’. O almeno da lì sono partita, per poi espandere il discorso su quello che è il rapporto tra satira e potere anche negli altri paesi.
Il documentario è un genere molto libero, puoi fare quello che ti pare ed è concesso praticamente tutto. Nel cinema, anche indipendente, non ci sono generi più liberi di quello. È per questo che poi ho continuato a fare documentari, con tutti i problemi che questo comporta nel nostro paese.
I tuoi documentari non saranno nati tutti da questo bisogno, immagino.
No, per Draquila ad esempio nacque tutto dai racconti incredibili che mi fece il conoscente di una mia amica, spingendomi ad approfondire il tema degli scandali sulla gestione dell’emergenza terremoto e di quel che succedeva allora sul Gran Sasso. Arrivammo all’Aquila alle cinque di mattina e iniziammo a girare, mi emozionai e compresi che c’era la possibilità di espandere la storia.
E ora a cosa stai lavorando?
Ora ho girato e sto montando un documentario su Potere al Popolo, un gruppetto che si è candidato due mesi prima di queste ultime elezioni, prendendo poi l’1,1%. La folle passione di quelle persone mi ha colpito in un momento in cui ero profondamente amareggiata dal livello della campagna elettorale. Dopo essermi imbattuta in una loro sostenitrice incredibilmente motivata, decisi di andare a Napoli, da un giorno all’altro, per vedere da vicino cosa stesse succedendo in quel gruppo, e mi pare che questo documentario stia venendo abbastanza bene. Mi sto concentrando soprattutto sul modo in cui, dal nulla, persone da tutta Italia sono riuscite a trovare le firme e a mettersi d’accordo per le candidature rapidamente, collegialmente e senza litigare.
Come si lavora a un documentario?
La storia si forma man mano, mentre giri fai delle ipotesi ma ovviamente al montaggio si finisce quasi sempre per cambiare tutto. L’idea però è quella di non fare documentari troppo tradizionali: la differenza tra un documentario che va al cinema e uno che va in televisione è tutta nella narrazione, nella gestione dell’attenzione e nella confezione di una storia che appassioni. Un film deve catturarti, non serve solo a ‘studiare’, e ti devi inventare delle cose, delle situazioni.
Ed è difficile girare un documentario?
Sono da sempre piuttosto indipendente e quasi ‘selvatica’. Non ho nessuna capacità manageriale e l’idea di vendere qualcosa mi ripugna, penso che sia l’opposto di quello che dovrei fare. Non accetto di lavorare con le modalità con cui lavorano tutti gli altri (anche se non sono l’unica così), ad esempio mi rifiuto di scrivere prima un documentario: se è un documentario non puoi scriverlo prima, e, tanto più che non costa nulla, mi rifiuto di sottoporlo al controllo di chi ti dovrebbe finanziare quel poco che costa giralo.
Se poi consideriamo che i miei sono tutti documentari politici, è evidente la difficoltà: in Italia vogliono che non emergano idee, vogliono tenerci in questo stato un po’ soporifero e farci consolare col fatto che sì, in Italia si mangia molto bene…
Recentemente hai dichiarato che non vai più molto al cinema, vero?
Ho smesso di andare al cinema perché i film non mi interessano più, non perché adesso ci sono nuove piattaforme tecnologiche o cose del genere. Un cineasta non fa film per fare soldi, altrimenti avrebbe fatto il notaio o il dentista, e quindi quando cominciano a mancare le motivazioni iniziali, i film diventano solo prodotti. Non mi interessa andare al cinema per comprare un prodotto, e se smetto di andare al cinema non è per le nuove invenzioni tecnologiche, ma perché non vedo più bei film.
Quando tornerai in TV?
Non mi ci rivedrete in TV. Ad esempio Tg Porco lo abbiamo fatto sul web in crowdfunding, e quello era il suo spazio. Abbiamo provato a portarlo in TV su La7, ma appena dici una parola sgradita la rete viene tempestata da telefonate di qualcuno offeso che dice “lei non sa chi sono io”. La satira è scomoda per definizione.
Sabina, cos’è la satira?
Anche nei miei documentari c’è umorismo, è un qualcosa che ti fa godere, una richiesta da parte del pubblico che ti fa andare al cinema più volentieri, offre divertimento – ovviamente nel senso più nobile del termine.
La satira è quella cosa che ti fa sentire che c’è la democrazia: non è il parere dell’esperto, non è la posizione di un ufficio stampa, ma ti fa sentire la voce di una persona senza vincoli che parla in modo libero, anche deridendo e mettendo in luce le contraddizioni. La satira ti fa sentire che non devi avere paura, perché se di qualcosa puoi ridere non devi averne paura. La satira ti fa sentire parte di una collettività, ti fa sentire parte di una voce collettiva che ha una dignità e che può esprimere un parere.