Così come la vita è fatta di scelte, allo stesso tempo è fatta anche di incontri su cui spesso non abbiamo potere e, semplicemente, accadono. Fino a quel momento, le vite che conduciamo scorrono su binari paralleli forse destinati a incrociarsi, molte altre volte no. Presentato al Festival Internazionale del Cinema di Edimburgo, Who We Are Now è un film che si apre seguendo le vite di due donne, molto diverse tra loro per età, estrazione sociale e vissuto che però finiranno per intersecarsi. Da questo incontro, entrambe ne usciranno arricchite, riuscendo ad abbracciare un cambiamento tanto necessario quanto voluto.
Beth (Julianne Nicholson) è uscita da poco di prigione dopo aver scontato dieci anni per omicidio colposo. Ancora in carcere ha dovuto prendere la difficile decisione di affidare il figlio alla sorella, divenuta in questo modo il tutore legale del bambino. Nel tentativo di riavere la piena custodia del figlio, Beth incrocerà la strada di Jess (la Emma Roberts cara agli spettatori di American Horror Story), una giovane avvocatessa dal rapporto turbolento con la madre.
La regia di Matthew Newton si fa fin da subito occhio discreto ma attento, un occhio che sa perfettamente su quali dettagli indugiare in attesa di catturare l’espressione, la reazione voluta ma anche quella inaspettata. È una regia che non si lascia spaventare dal caos delle interazione personali ma anzi si bea delle battute che con forza si sovrappongono a mimare quella quotidianità in cui non c’è spazio per i tempi scenici e le conversazioni fluiscono rapide e incuranti.
Quello che si cerca di rappresentare è, in tutti i sensi, un dramma familiare che, con toni diversi, mette in scena i delicati equilibri su cui si reggono i rapporti tra madri e figli ma anche tra sorelle. Ciò che ne emerge è una lotta continua, sfiancante, che guida le nostre azioni e ci spinge a sferrare i nostri colpi sapendo, con precisione chirurgica, dove sia meglio mirare per fare ancora più male. I rapporti familiari quindi si riducono a un cumulo di macerie, sacrificati sull’altare della sfiducia e dell’egoismo. Tutto quello che resta è la dignità di affrontare a testa alta i propri errori, di fare i conti con il passato e decidere quale persona si voglia diventare, anche a costo di perdere ciò che si ha di più caro ma mantenendo intatta l’integrità.
Ai principali – su cui torreggia un’ottima Nicholson qua in un ruolo difficile ma gestito con intensità magistrale – si accompagna un coro di personaggi secondari che arricchiscono il quadro e apportano tutti un contributo significativo alla crescita emotiva delle due protagoniste. Quello che poteva risultare un racconto di ingiustizia sociale magari significativo ma monocorde, si carica invece di svariati livelli di lettura capaci di trasformare questo dramma indie in un film di grande potenza emotiva e sensibilità che meriterebbe molta più attenzione di quanta molto probabilmente ne riceverà.