Il dramma di St. Peter’s Field al centro di Peterloo, ultima fatica di Mike Leigh presentata in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia. La storia è ben nota: molte delle sessantamila persone presenti a Manchester per una manifestazione pacifica pro-democrazia contro i crescenti livelli di povertà vennero uccise dalle forze dell’ordine su ordine del governo. Una vicenda che ha segnato la Gran Bretagna, un paletto fondamentale nella storia della democrazia moderna.
PETERLOO METTE IN SCENA UN CAPITOLO IMPORTANTE DELLA STORIA BRITANNICA
Tutto ha inizio con la storica vittoria inglese nella battaglia di Waterloo a danno dei francesi: il giovane soldato Joseph (David Moorts), traumatizzato da quanto visto in guerra, torna a casa dalla sua famiglia di operai. La vita è difficile per la famiglia del ragazzo, simile a quella degli appartenenti del ceto medio-basso: la guerra ha causato disoccupazione, cattivi raccolti e restrizioni sull’importazione dei cereali. C’è di più: le persone umili non hanno neanche il diritto di voto. A Lancaster vengono organizzate le cosiddette assemblee popolari pro-democrazia, popolate da radicali moderati e agitatori estremisti; Joseph inizia a frequentarle insieme al padre Joshu (Pearce Quigley) e al fratello maggiore. I giudici di Manchester infliggono punizioni sempre più severe, con le spie governative sempre in azione e con il ministero degli Interni che intercetta la posta. La svolta arriva quando il Principe Reggente (Tim McInnerny) viene attaccato in pubblico: il Parlamento opta per la sospensione dei diritti dei cittadini (l’Habeas Corpus). Gli attivisti si mettono in moto per organizzare una manifestazione a St. Peter’s Field e decidono di provare a coinvolgere Henry Hunt (Rory Kinnear), un famoso oratore che decide di accettare la proposta.
Reduce da Turner, Mike Leigh presenta a Venezia un film storico decisamente ambizioso: 152 minuti per ripercorrere una delle pagine nere della storia britannica, passo fondamentale per la democrazia (e per la nascita del noto quotidiano inglese The Guardian). Il regista si focalizza sulle tappe che precedono il dramma, analizzando le difficoltà patite dai contadini e dagli operai ponendo la lente di ingrandimento sulll’avidità e sul cinismo del potere. A differenza di quanto si potesse ipotizzare, lo scontro cruento di quel lontano 16 agosto 1819 resta quasi sullo sfondo: Leigh vuole concentrarsi sulla nascita del movimento pro-democrazia, sul perché il ceto meno abbiente è arrivato alla protesta di piazza e sulle ragioni che hanno portato le forze governative a reagire con violenza impressionante. Senza ombra di dubbio si tratta di un lungometraggio di denuncia: l’arroganza e la crudeltà dei giudici britannici viene accentuata senza filtri, dalle frustate per una anziana sorpresa a rubacchiare due bottiglie di vino passando per la pena capitale inflitta ad un uomo accusato di essersi appropriato di un giubbotto. Il re inoltre non viene preso neanche in considerazione, ad evidenziare la sua debolezza.
Le premesse per un ottimo film sembrerebbero esserci tutte, ma c’è un grosso problema: la trama non segue un filo logico e lo spettatore si trova spaesato senza avere punti di riferimento, come se fosse davanti a una serie di sequenze ancora da montare. Il ritmo resta inesorabilmente piatto, nonostante qualche sparuto siparietto comico; pecca che compromette inevitabilmente l’opera, nonostante il curatissimo aspetto tecnico (dai costumi di Jacqueline Durran alla scenografia di Suzie Davies, passando per la splendida fotografia di Dick Pope, dal punto di vista formale il cineasta inglese non lascia nulla al caso).