Guardando Suspiria, l’incredibile nuovo film di Luca Guadagnino in sala da 1 gennaio 2019 su distribuzione Videa, è da subito evidente che ogni paragone con il visionario titolo del 1977 firmato da Dario Argento è a dir poco superfluo. La pellicola del regista di Chiamami Col Tuo Nome, presentata in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia, mantiene infatti solo un flebile legame con l’originale, di cui recupera il concept di una scuola di danza gestita da streghe nella Berlino del 1977. Per il resto l’imponente opera di Guadagnino, sospesa tra cinema d’autore e horror, non fa nulla per recuperare gli elementi più distintivi della pellicola di partenza, limitandosi a citare qualche nome per poi arricchire la storia di innumerevoli personaggi e livelli di lettura, portandola in una direzione decisamente più complessa e interessante.
UNA STORIA PROFONDAMENTE DIVERSA
Susie Bannion (una Dakota Johnson mai così carismatica) è una ballerina con tanto talento e poca esperienza, che decide di fare un’audizione nella prestigiosa accademia di danza berlinese gestita dall’acclamata coreografa Madame Blanc (un’immensa Tilda Swinton). Delle tensioni politiche e dello spettro del terrorismo – palpabili nelle strade – nella scuola arriva solo un’eco lontana, mentre è vibrante la tensione tra la Blanc e la sfuggente figura della reverenda Madre, Helena Markos. Nel frattempo un’allieva in fuga dalla scuola, Patricia (Chloë Grace Moretz), denuncia l’esistenza di una congrega di streghe al suo anziano e incredulo psicologo, il Dr. Klemerer (Tilda Swinton asserragliata sotto un pesantissimo trucco prostetico).
I livelli sui quali si sviluppa questo nuovo Suspiria sono molteplici, e ognuno è tanto ricco di spunti da contribuire in modo decisivo alla complessità dell’opera. C’è il percorso artistico legato alla danza, che è tutt’altro che pretestuoso e che rende giustizia alla nobiltà di quest’arte (anche se manca quella dimensione ossessiva così splendidamente ritratta ne Il Cigno Nero), e vi è un’interessantissima inclusione del contesto politico sin dai titoli di testa (che recitano «6 atti e 1 epilogo ambientati nella Berlino divisa»). Non manca poi la trama più squisitamente horror, che offre il più memorabile ritratto di streghe che il cinema ricordi, e soprattutto vi è una fondamentale ossatura legata alla questione femminile.
SUSPIRIA È UNA PELLICOLA INCREDIBILMENTE AMBIZIOSA IN CUI IL LEGAME TRA CORPO ED ESOTERISMO È FONDAMENTALE
Quello che contraddistingue il Suspiria del 2018 è la sconfinata ambizione della pellicola, con la quale il pur già ottimo Guadagnino rivela un talento che ancora non aveva manifestato in tale misura, collocandosi così tra i nomi di maggior rilievo del cinema di questi anni. La geniale intuizione dell’accostamento tra ballo e arti esoteriche, che nel film di Argento esisteva quasi esclusivamente in potenza, nel nuovo lavoro diventa fondamentale, riportando alla mente il ruolo rituale dei moviementi del corpo nell’antropologia tribale ma anche e soprattutto nelle cerimonie dei sabba, massima espressione del contatto tra streghe e componente demoniaca.
L’uso di immagini forti dal mondo del balletto non è fondamentale solo nella messinscena dei momenti più fisici del film (l’audizione di Susie è già una scena di quelle capaci di segnare la storia del cinema), ma anche nel richiamare l’immaginario legato ai grandi nomi della danza: la quasi ultraterrena Madame Blanc, con il sembiante diafano della Swinton, il vestito dalle linee minimali che carezza il pavimento, la lunghissima capigliatura lasciata cadere con severità sulle spalle, i movimenti eleganti ma sempre misurati e la distaccata premura con cui si prende cura delle proprie allieve è una perfetta incarnazione perturbante di Pina Bausch o Carla Fracci.
LO SCENEGGIATORE DI THE TERROR RISCRIVE COSA DEBBA ESSERE UNA STREGA, E NON MANCA IL GORE.
È proprio la figura della strega ad essere centrale nella narrazione, ma se Argento e la Nicolodi le descrivevano come il male assoluto – privandole di quella componente controversa che è il loro vero fascino – il nuovo sceneggiatore David Kajganich (autore della fortunatissima serie AMC The Terror) restituisce tridimensionalità alle sacerdotesse demoniache, ampliando enormemente le possibilità narrative e facendone figure al contempo respingenti e affascinanti, oscure e sagge.
Nel raccontare il male Guadagnino si dimostra tanto coraggioso da arrivare a inserire in quella che – senza mezzi termini – è una pellicola di autore, elementi tipici del più tradizionale cinema di genere: dalle visioni inquietanti affidate a montaggi espressionistici in stile The Ring a momenti inequivocabilmente gore con corpi che esplodono in nuvole di sangue, passando per una sorprendente dose di body horror affidata ai più tradizionali e pervasivi practical effects.
UN FILM POLITICO PER UN MICROCOSMO DI SOLE DONNE
A fare di Suspiria un’opera ambiziosa e di spessore è in particolare la proposizione di un universo femminile e matriarcale, che assume un significato particolarmente rilevante anche e soprattutto alla luce dei sempre più forti movimenti per i diritti delle donne. Quello femminile, in Suspiria, è un mondo tutt’altro che scevro da frizioni e contrasti interni, ma che mantiene una sua profonda coesione in antitesi a tutto ciò che si muove al di fuori della scuola. «Siamo un collettivo ispirato a Ruth Bré» ricorda Madame Blanc, facendo diretto riferimento a un’importantissima teorica tedesca della matrilinearità anti-patriarcale; ma gli equilibri di potere della congrega sono ben chiariti da un aforisma incorniciato a parete, che recita «La madre è una donna che può sostituire tutti ma che è insostituibile». Un precetto di cui all’interno della scuola converrebbe ricordarsi più spesso.
UNA PALETTA SUPERLATIVA E LONTANISSIMA DALL’ORIGINALE, E LE MUSICHE DI THOM YORKE
Se la scrittura e le interpretazioni rappresentano la più importante risorsa nelle mani di Guadagnino, la sua regia è incredibilmente sicura, flessibile e consapevole. La sesquipedale durata di oltre due ore e mezza viene gestita miracolosamente dallo storico collaboratore del regista, il montatore Walter Fasano, mentre le musiche del frontman dei Radiohead Thom Yorke (che sigla anche la mesmerica title track) arricchiscono generosamente le già suggestive atmosfere. Sono le scenografie di Inbal Weinberg e la fotografia di Sayombhu Mukdeeprom però a farla da padrone, pur distanziandosi completamente da quelle iconiche del film del ’77 e optando per una sublime paletta costruita su beige, ruggine, mattone, prugna, rosa, salvia e ottanio (richiamata in particolare dai marmi e dai tendaggi delle scene).
In conclusione Suspiria è un capolavoro al di sopra di ogni aspettativa, che regala al cinema contemporaneo uno degli horror d’autore più belli e importanti degli ultimi decenni, ma soprattutto che regala a un’industria pigra e asservita alla banalità un titolo capace di osare senza ritegno, e che dopo oltre 140 minuti fa uscire dalla sala con la voglia di assistere a molte più storie in quel mondo immaginato dal regista italiano. Fortunatamente l’originale era parte di una trilogia, quindi la speranza che un box office solido possa garantire l’espansione di questo racconto di streghe è più che concreta.