Writers Guild Italia e Anonima Cinefili hanno incontrato Johnny Palomba, uno degli sceneggiatori del film tratto dal fumetto di Zerocalcare La Profezia Dell’Armadillo, presentato alla 75. Mostra del Cinema di Venezia. Il co-sceneggiatore ci ha parlato del lungometraggio e di molto altro.
Johnny Palomba, il più misterioso degli sceneggiatori de La Profezia Dell’Armadillo. La prima domanda è semplice: puoi farci un pitch del film, anche se molti già conoscono la storia avendo letto il fumetto di Zerocalcare?
Un ragazzo di Rebibbia elabora un lutto: l’amico reale Secco e quello immaginario Armadillo però non gli sono d’aiuto.
Sono famose le tue esilaranti “recinzioni” dei film, vorresti farne una anche di questo lungometraggio?
Su questa domanda glisserei, non scrivo più “recinzioni” da un po’.
Quanto è fedele il film rispetto al fumetto? Che cosa avete aggiunto o tolto?
Sul film non te lo posso dire perché ancora non l’ho visto. Posso parlare della sceneggiatura e del fumetto: ovviamente abbiamo cercato di prenderne lo spirito e portarlo con noi all’interno dell’opera. Il fatto che Zerocalcare fosse con noi a scrivere lo script ha reso tutto più semplice.
Parlaci di te. Sei uno scrittore, autore di testi radiofonici, conduttore, sceneggiatore: che cos’altro?
Credo di essere una persona fondamentalmente curiosa di tutto, il resto viene da sé.
Hai lavorato con Vauro e Vincino, maestri della satira. Come sta la satira oggi? E’ viva e lotta insieme a noi oppure, se non è morta, è quasi svenuta?
La satira sta messa male. Viveva benissimo quando l’obiettivo era il potere, e il potere era rappresentato da uomini che cercavano di apparire tutti d’un pezzo. Gli anni del berlusconismo hanno portato a spostare sempre più in là il paradosso. Chi fa satira si è trovato con il tempo sempre scavalcato dalla realtà. Oggi, con il semplice accesso alla rete, sono fioriti tanti autori di satira (o presunti tali). Ma nella maggioranza dei casi la satira è scambiata con il tifo di parte o con la propaganda di regime. L’oggetto non è più il potere ma il debole, lo sconfitto.
C’è grande curiosità attorno alla tua identità, dato che tendi a nasconderti. Trauma da prime rughe o, come immagino, una scelta più profonda?
Ho semplicemente una buona e sana dose di pudore.
Come è nata la tua collaborazione con gli altri sceneggiatori?
Direi che è stato tutto molto naturale, ci conoscevamo già da tempo.
Se dovessi fare una percentuale, quanto divertimento e quanto stress c’è stato in questo lavoro?
Niente stress, molto divertimento. È stato un bellissimo viaggio.
La WGI (Writers Guild Italia) ha un codice deontologico riassunto in 10 punti a cui tutti gli sceneggiatori devono attenersi per far parte del sindacato. In sostanza si tratta di un impegno per far valere i propri diritti e, allo stesso tempo, per “osservare un comportamento ispirato a correttezza e lealtà nei confronti dei colleghi”. Tu concordi con questa filosofia?
Sì. Sono valori che dovrebbero esistere in qualsiasi ambiente di lavoro.
Se tu dovessi creare un codice deontologico per gli autori quale sarebbe per te il primo punto, quello più importante?
Quando scrivete qualcosa, rileggete bene. Sempre.
La Writers Guild of Great Britain ha scritto un documento dal titolo ”Free is not an option”, in sostanza un appello accompagnato a una denuncia. Molti sceneggiatori oggi, spesso per mancanza di lavoro, sono disposti a scrivere gratis (o quasi) e con un bassissimo livello di garanzie. Qual è la tua opinione a riguardo?
Se veniamo pagati 100 il nostro lavoro vale 100, se veniamo pagati 0 o quasi il nostro lavoro non vale nulla. Sta tutto lì.
Sembra che nel nostro cinema non si racconti più la borghesia. Si racconta molto, invece, la periferia e le situazioni al limite. Ci sono più storie da raccontare in questo ambito? Sono racconti più veri ed interessanti, secondo te?
Non so se sia più interessante la borghesia o la periferia. Credo ci sia bisogno soprattutto di sperimentare, di stravolgere il modo di raccontare a prescindere dall’ambiente. Ci siamo sorbiti negli ultimi anni una serie di commedie italiane tutte uguali fatte con lo stampino. Bisogna convincere i produttori che appiattire tutte le storie su un modello che “funziona” ha portato ad un impoverimento e l’allontanamento del pubblico dalle sale. Come si dice, “e ora qualcosa di completamente diverso!”
Perché proprio l’Armadillo? Che cosa simboleggia?
Sul perché bisognerebbe chiedere a Zerocalcare. Sicuramente l’armadillo è una coscienza che aiuta poco il protagonista, lo consiglia sempre e comunque a dare il peggio di sé.
Progetti futuri come sceneggiatore?
Non lo so, posso solo dire che è stata una grande esperienza e che scrivere una sceneggiatura a più mani è un’esperienza che consiglio. Assolutamente.
(Intervista a cura di Silvia Longo)