La Ballata di Buster Scruggs (titolo originale The Ballad of Buster Scruggs), presentato alla 75. Mostra del Cinema di Venezia e insignito del Premio alla Miglior Sceneggiatura, è lo straordinario western a episodi Netflix che segna il ritorno di quella che forse è la coppia creativa più memorabile della commedia contemporanea: i fratelli Joel e Ethan Coen.
Quel che colpisce è che questo progetto decisamente sui generis, che nelle parole (probabilmente non troppo sincere) dei Coen si ispira al cinema italiano ad episodi tipico degli anni ’60, sembra un po’ la summa dell’eterogenea poetica che negli anni ha portato i due registi e autori a spaziare da Il Grande Lebowski a Il Grinta. Questo film in capitoli, infatti, non nasce dalla volontà di scrivere una storia antologica, quanto piuttosto come una raccolta di vario materiale a tema western scritto dai due nel corso di 25 lunghi anni di carriera.
UNA MINISERIE NETFLIX TRASFORMATA IN FILM
Ad essere precisi, dobbiamo sottolineare che La Ballata di Buster Scruggs non nasce proprio come un film. Infatti inizialmente l’opera – prima produzione della nuova sezione dedicata ai prodotti per il piccolo schermo della statunitense Annapurna – doveva essere una miniserie TV a carattere antologico, e sempre tale era la forma quanto Netflix ne annunciò l’acquisto nell’agosto 2017. È solo a ridosso della Mostra del Cinema di Venezia (nel luglio 2018) che l’opera viene presentata per la prima volta come un film antologico – il che fa pensare a un lungimirante cambiamento in corsa per dare a questo importante originale Netflix una chance nella stagione dei premi, dalla Laguna sino agli Oscar.
Ma di cosa parla La Ballata di Buster Scruggs? Proposta come un libro di storie western (sei episodi con durate molto differenti), la pellicola propone sei brevi racconti autoconclusivi e sostanzialmente slegati tra loro, nei quali vengono ripercorsi un po’ tutti i cliché più classici del west e nei quali ritroviamo le mille anime della scrittura dei fratelli Coen.
UN CAST INCREDIBILE PER SEI EPISODI DIVERSISSIMI TRA LORO
Con il primo esilarante episodio The Ballad of Buster Scruggs – che dà il titolo al film – ci muoviamo in un terreno affine a Ladykillers e, con sfumature di musical, ritroviamo un indimenticabile Tim Blake Nelson (Fratello Dove Sei?) nei panni di un cantastorie dalla favella svelta e garbata che è anche un temibile pistolero. Nel successivo Near Algodones, invece, incontriamo James Franco che dà vita a un cowboy che rischia l’impiccagione, e il tono complessivo del film inizia ad essere intuibile. L’atmosfera si incupisce fortemente in Meal Ticket, parentesi quasi senza battute in cui Liam Neeson è l’impresario di un ‘freak’ senza gambe e senza braccia che calamita l’attenzione del pubblico non per la propria deformità ma per la capacità di declamare magnifici monologhi – l’episodio più lento e senza dubbio il più nero.
Proprio quando sembra chiaro l’andazzo, è l’omaggio a Jack London di All Gold Canyon a correggere leggermente la rotta e a proporci un inedito Tom Waits nei panni di un solitario cercatore d’oro, la cui vicenda si incrocia con uno spunto interessante legato all’impatto dell’uomo sulla natura incontaminata.
È poi il turno del penultimo episodio, che essendo lungo quasi il doppio degli altri diventa il vero fulcro dell’opera: parliamo di The Gal Who Rattled, in cui una fantastica Zoe Kazan (The Big Sick) incarna una donna determinata a plasmare il proprio destino che deve confrontarsi con il selvaggio west popolato di cowboy e indiani.
La conclusione – dal sapore decisamente poco western e ancora una volta vagamente reminiscente delle atmosfere alla Poe di Ladykillers – arriva quindi con The Mortal Remains, in cui un gruppo di borghesi (uno dei quali con il volto di Brendan Gleeson) affronta un viaggio in carrozza che ricorda da vicino il gusto per la black comedy di certi sketch dei Monty Python.
A TRATTI SI RIDE, MA I COEN NON SONO MAI STATI COSÌ AMARI
A prescindere dalle definizioni e dalle mille considerazioni che si potrebbero fare sul formato con cui viene proposto La Ballata di Buster Scruggs, quel che salta all’occhio è come – nell’epoca degli universi narrativi cinematografici e della peak TV – ogni barriera tra film e serie TV, racconto autoconclusivo e serializzazione sia andata sgretolandosi. Il susseguirsi degli episodi infatti avviene in modo del tutto naturale, come si trattasse di una miniserie da consumare con un avido bingewatching, e l’ovvia eterogeneità del materiale diventa un suo punto di forza. Se infatti gli stili, il tono e l’approccio dei sei episodi di questa antologia sono evidentemente discontinui, a fare da comune denominatore vi è il più nero pessimismo; un nichilismo senza speranza che colloca il film in una zona tanto estrema che non vi si era spinto nemmeno Non È Un Paese per Vecchi.
IL SIGNIFICATO DEL FILM È NE LA TEMPESTA DI SHAKESPEARE
Mentre si alternano momenti che non fanno nulla per modernizzare un’idea piacevolmente démodé di vecchio west e che anzi sembrano incarnare gli archetipi più consolidati delle vecchie storie di cowboy con cui probabilmente Joel e Ethan Coen sono cresciuti, è evidente che i registi approfittano di quel contesto ostile e un po’ caricaturale per farne un’allegoria della vita in tutta la sua spietata paradossalità. Fino al conclusivo The Mortal Remains (il capitolo di gran lunga più disomogeneo rispetto agli altri), sono le parole con cui il poetico ‘freak’ di Meal Ticket si congedava dal proprio pubblico a risuonare nello spettatore – o meglio quelle che egli prendeva in prestito da La Tempesta di Shakespeare: «I nostri svaghi sono terminati. Questi nostri attori, come già vi ho detto, erano tutti degli spiriti, e si sono dissolti in aria, in aria sottile.».
In modo analogo alla malinconica citazione dei versi de Il Corvo di Poe, che forniva una lettura profonda alle disastrate vicissitudini criminali di Ladykillers, è ancora alla letteratura che ricorrono i Coen per fornirci la chiave di lettura di questa indefinibile parabola – esilarante e amarissima – sulla vita.
Se il teatrante senza arti del terzo episodio declamava Ozymandias di Shelley invitando a riflettere sull’effimera vanagloria umana e poi ricorreva al discorso di Lincoln a Gettysburg spronando a dare un senso all’altrui morte col proprio operato, è nei versi del Prospero di The Tempest – quelli non proferiti e che nelle linee del Bardo dell’Avon venivano dopo il suddetto commiato – che ritroviamo la vera essenza della pellicola: «Così, come il non fondato edifizio di questa visione, si dissolveranno le torri, le cui cime toccano le nubi, i sontuosi palazzi, i solenni templi, lo stesso immenso globo e tutto ciò che esso contiene, e, al pari di questo incorporeo spettacolo svanito, non lasceranno dietro di sé la più piccola traccia. Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno. Io sono agitato, signore – tollerate questa mia debolezza – il mio vecchio cervello è turbato. Non vi prendete pena di questa mia infermità. Se volete, ritiratevi nella mia grotta e quivi riposate. Io farò uno o due giri per acquetare il mio spirito commosso.». Se cercate il senso profondo e poetico di La Ballata di Buster Scruggs, è tutto qui: ogni sforzo o opera umana è un’effimera illusione onirica, destinata a dissolversi nel nulla. Al loro debutto televisivo (mascherato da film), i Coen riescono a trasformare una raccolta di idee racimolate in un quarto di secolo in uno dei loro lavori più intensi.
La Ballata di Buster Scruggs esce su Netflix dal 16 novembre 2019.