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Writers Guild Italia, in collaborazione con Anonima Cinefili, ha incontrato a Venezia David Kajganich, lo sceneggiatore del remake dell’horror cult Suspiria diretto da Luca Guadagnino (di cui David è collaboratore abituale). Ne abbiamo approfittato anche per fare a David qualche domanda a proposito di The Terror, la serie da noi disponibile su Amazon Prime Video di cui è creatore e showrunner.
Le nostre interviste iniziano sempre con un pitch: qual è la storia del Suspiria di Luca Guadagnino?
Suspiria racconta di una giovane ballerina americana che entra a far parte di una prestigiosa compagnia di danza europea nel 1977. Sullo sfondo del caos politico della Berlino divisa, scopre che la compagnia è in realtà una congrega di streghe.
Dopo A Bigger Splash è la tua seconda collaborazione con Guadagnino e per la seconda volta si tratta di un remake, state consolidando un vostro brand?
L’esperienza di A Bigger Splash è stata fantastica e cercavamo un altro progetto da fare insieme. Rifare Suspiria era un sogno di Luca sin da ragazzino, per questo sono stato affascinato dall’idea di farlo. Ma non direi che i remake sono il nostro brand. Per il futuro non abbiamo in mente nulla del genere.
Come ha funzionato la genesi di Suspiria? Qual era la premessa iniziale del film?
Luca ha sempre avuto una forte connessione con il film di Argento. Quando lo vide per la prima volta, per lui fu un’esperienza formativa da un punto di vista artistico. Quando abbiamo iniziato a discutere come approcciare la nuova versione del film, sapevamo di voler radicare la storia in uno spazio-tempo molto preciso e ben definito, in modo da poter avere personaggi forti, con delle psicologie riconoscibili, che portassero avanti la storia stessa. Poi volevamo capire la congrega sia a livello tematico che drammaturgico, quindi abbiamo parlato molto di come fosse possibile che un gruppo di donne intelligenti impegnate politicamente, venendo escluse dai canali tradizionali del potere, decidessero invece di coltivare un proprio potere privato e di come poteva apparire realistico un contesto del genere.
Come lavori alla scrittura di un remake, che approccio hai nei confronti del materiale originale?
È un lavoro ogni volta diverso. A volte la struttura del film o del testo originale si può mantenere, ma di solito non è così. A volte sai prima chi sarà il regista, mentre altre volte si scrive tutta la sceneggiatura prima che venga assunto il regista. Il primo caso è sempre meglio per me. Con Luca, per esempio, so che lui ha una maniera molto personale di girare – lui crede nel primato dello sguardo soggettivo nel cinema – quindi cerco di tenere il numero delle pagine basso per aiutarlo. La prima stesura era di 99 pagine, poco comparate alle tipiche 120, ma la prima versione del film montato era lunga 4 ore! Ciò è dovuto al fatto che il film contiene molte sequenze di danza e di prove, mentre nel film di Argento c’era pochissima danza. In generale cerco di mantenere lo spirito dell’originale anche se non posso tenerne la forma corporea. Nel tentativo di offrire qualcosa di nuovo dal punto di vista tematico e drammatico, nel processo di scrittura si finisce per rompere la maggior parte dell’ossatura dell’originale o, a volte, tutta l’ossatura.
Come è andato il processo di scrittura da un punto di vista pratico e tecnico? Quanto tempo è durato, quante stesure ci sono state?
Io e Luca siamo abituati a parlare a lungo, in modo che sappiamo già un sacco di cose su quello che vogliamo ancor prima che io abbia scritto una parola. Questo significa che ci sono meno sorprese nella scrittura, nel senso positivo. Per Suspiria ho scritto un trattamento di una quarantina di pagine, con tutte le intestazioni di scena a posto, basato sulle nostre conversazioni e sulle mie ricerche. In effetti, se avessi numerato le scene del trattamento, sarebbe stato quasi identico a quello che abbiamo girato. Molte delle descrizioni del trattamento le ho usate nella prima stesura di sceneggiatura, quindi era praticamente come una sceneggiatura senza dialoghi. La prima stesura è stata solo un’espansione del trattamento. Credo di aver fatto solo due altre stesure dopo la prima e poi delle note di produzione. Mi piace molto lavorare in questo modo, perché si può prendere in considerazione tutto. Io e Luca abbiamo molto da dire ed è necessario avere un processo rigoroso per sintetizzare tutto quanto. Se c’è un concetto espresso in maniera poco chiara, che nel trattamento non convince Luca, lui mantiene la mente aperta, lasciandomi esprimere nella sceneggiatura perché conosce la raison d’être di quel concetto. Questo ci permette di lavorare come collaboratori allo stesso livello, senza che io mi senta obbligato a doverlo convincere di qualcosa o dimostrargli che ha torto. E dopo si lavora ancora alla scrittura in fase di montaggio. Abbiamo sempre un certo budget per il doppiaggio in modo che in montaggio, con il grande Walter Fasano, possiamo fare parecchie modifiche e ristrutturazioni della storia. Questa parte della lavorazione è una vera gioia, perché Walter, come Luca, è una persona molto sensibile, intelligente e ardita. Ci sono molte cose che esploriamo durante il montaggio, io lo considero l’ultima riscrittura della sceneggiatura.
Come funziona il lavoro con Guadagnino sia in scrittura che in fase di produzione? Hai cambiato la sceneggiatura durante le riprese, sei stato coinvolto nel processo decisionale?
Come sceneggiatore, non potrei pensare ad un collaboratore migliore di Luca. C’è una grande fiducia reciproca. Siamo liberi di dirci qualsiasi cosa in qualunque momento e sposiamo il modo di lavorare che piace all’altro. Parliamo e facciamo ricerca così a lungo che alla fine siamo d’accordo su quasi tutte gli aspetti della storia. Naturalmente lui è l’arbitro finale di tutto il film ma mi fa partecipare ad un livello che per altri registi penso sarebbe sconvolgente. E io non la prendo con leggerezza. Cerco di non essere troppo zelante, in modo che quando lo sono Luca sa che c’è un motivo. La chiave è che Luca ha una visione molto forte ma un ego molto basso. Questa è una cosa rara. E nessuno di noi due ha grandi insicurezze sul lavoro quindi ci possiamo permettere di essere audaci nel processo creativo, per poi magari fare anche grandi cambiamenti alla storia durante le riprese o il montaggio. Se si tratta di fare una qualunque modifica alla sceneggiatura, in qualsiasi momento della produzione, Luca mi consulta. Sono stato sul set di A Bigger Splash ogni giorno e in montaggio molto spesso. Suspiria è stato girato in contemporanea con The Terror (la serie di cui David è showrunner, ndr), quindi era impossibile per me stare sul set così tanto tempo ma non mi sono mai sentito escluso. Vedevo i giornalieri e Luca mi aggiornava su quel che succedeva sul set. Poi, visto che è un film molto complesso – con le storie sincopate di 4 protagonisti – sono stato in sala di montaggio, dove ho avuto un certo peso. Per Suspiria abbiamo fatto molto doppiaggio, molto più di quanto ne abbia mai fatto per un film ma non è stato solo il tipico doppiaggio migliorativo. È stata l’occasione per noi tre di fare fantastiche aggiunte e rivedere delle scene per approfondire il film. È stato un gran lavoro, ma è stato molto produttivo e affascinante. Sono cresciuto molto facendo film con Luca. Che altro potrei volere di più?
A parte la scrittura, trovi che ci siano altre fasi del processo produttivo in cui la presenza dello sceneggiatore possa essere utile (prove, location scouting, riprese, montaggio)?
Da parte mia, penso di poter contribuire a tutte queste fasi. Ho anche lavorato come produttore e sono lo showrunner di una serie TV, che è praticamente lo stesso lavoro che il regista fa al cinema; ho portato quindi quest’esperienza nella collaborazione con Luca. Ormai faccio questo lavoro da abbastanza tempo da essere in grado di anticipare, fino ad un certo punto, come un regista, un attore, un produttore, un montatore o uno scenografo possano vedere un problema e cerco di risolverlo da una moltitudine di prospettive diverse. Ci vuole una certa maturità ed esperienza per questo. Luca mi porta sempre dappertutto nel corso della realizzazione del film e gli voglio bene per questo. Lo seguirei ai confini del mondo. Poi, se mi chiedi se ogni sceneggiatore sarebbe utile in tutte queste fasi… Dipende da chi è lo sceneggiatore e di quanto lui o lei sia capace di avere in mente la totalità del film, piuttosto che difendere solo il suo interesse. Ma credo che lo sceneggiatore, al minimo, dovrebbe essere sempre presente alle letture preliminari e dovrebbe poter vedere i pre-montati e proporre soluzioni ai problemi della storia che possono essere risolti in montaggio. Credo anche che lo sceneggiatore dovrebbe avere l’opportunità di scrivere tutti i testi del doppiaggio. Nessuna di queste cose si fa spesso e credo che danneggi assolutamente il processo produttivo. Se mi chiedi perché queste cose siano rare, per la mia esperienza i registi e gli attori credono di poter fare il lavoro dello sceneggiatore facilmente, laddove sia necessario, ma per la maggior parte dei casi non è affatto così. Luca è un caso raro. Capisce la storia così bene come capisce l’arte visiva. Se avesse deciso di fare lo sceneggiatore invece che il regista avrebbe avuto altrettanto successo. Non ho dubbi.
Il film ha uno stile horror piuttosto gore. Che visione hai del racconto horror?
Vedo l’horror in una maniera simile a come vedo la commedia. Entrambi i generi usano come strumento principale l’ansia, ma la si può usare in molti modi diversi. Come dieci persone avranno dieci diversi tipi di senso dell’umorismo, così è per il senso dell’orrore. E, allo stesso modo in cui gli scrittori di commedia devono essere capaci di scrivere anche in base ad un umorismo che non gli appartiene del tutto, io posso scrivere secondo un senso dell’orrore che non è esattamente il mio. È stato in parte così per Suspiria. Il gore non ha molto effetto su di me ma capisco perché funziona con la gente. Quando ho proposto la scena in cui Madame Blanc mette le impronte dei suoi pollici sulle mani e sui piedi di Susie e dopo vediamo come la danza di Susie stia massacrando Olga in un’altra stanza, non è esattamente la mia visione dell’orrore ma sapevo che era adatto per questo film, così come gli altri momenti horror che ho proposto, aggressivi nella stessa maniera. La mia visione di horror è più vicina a quello che si vede nella serie che ho fatto per AMC, The Terror. Mi piace di più accendere il senso di ansia del pubblico, giocando con la paura di quello che accade fuori campo o incalzando il pericolo senza dare delle regole precise. Per me il peggiore dei trucchi dell’horror è il jump scare (lo spavento improvviso che fa sobbalzare di sorpresa, ndr), trovo che sia così cinico e sciatto. Per questo motivo non mi piacciono tanto i film della Blumhouse (la produzione dei film Paranormal Activity e Insidious, ndr). Sono consapevole di essere una minoranza, ma credo che se per farmi paura devi sorprendermi con la musica forte o facendo spuntare qualcosa all’improvviso da un apposito angolo cieco, allora è esattamente l’opposto di quel che io considero l’autentico horror.
Hai scritto un adattamento di un altro classico horror, Pet Sematary. Pensi che ci siano molte differenze tra scrivere un horror e una commedia, come nel caso del tuo film precedente? Preferisci l’horror e il thriller?
In parte ho già risposto prima, trovo che l’horror e la commedia abbiano molto in comune. Ma io preferisco una palette di emozioni più austere. Perché io apprezzi veramente la commedia questa deve essere aggressiva, dark o altrimenti politica. L’ironia fisica non mi interessa, la gente che sbatte contro le porte a vetri o che gli cascano i pantaloni per me è l’equivalente nella commedia del jump scare.
The Terror è una serie che è stata molto apprezzata in tutto il mondo e anche in Italia. Come è nata l’idea e come hai venduto il progetto per metterlo in produzione?
The Terror è un adattamento del romanzo dello scrittore americano Dan Simmons. Lessi il libro in anteprima e ho cercato di prenderne i diritti per l’adattamento. Ma sono arrivato un po’ in ritardo, quindi mi sono ritrovato invece ad essere ingaggiato come sceneggiatore perché all’epoca il progetto doveva essere un film per il cinema. Quando questo progetto è fallito, l’ho seguito finché è finito alla AMC come miniserie in 10 puntate. Era un progetto che interessava a molti studios e a diversi network ma non molti erano disposti a rischiare con qualcosa che evidentemente sarebbe stato molto dispendioso da produrre. Già è difficile fare qualsiasi cosa ambientata in un periodo storico, figuriamoci qualcosa di così costoso (la serie racconta una spedizione nell’Artico nell’800, ndr). Si può pensare che il fatto che sia horror lo renda più facile ma non è stato così. Credo che a molti produttori piacesse la serie, ma che pensassero: “Quale pubblico si interesserà a un gruppo di marinai di epoca Vittoriana e a una donna Inuit?”. Ma non puoi lasciarti fermare da questa gente.
Quali sono le principali differenze tra scrivere per la tv e scrivere per il cinema?
La principale differenza creativa per me è quanto puoi tirare fuori dai personaggi. Avere dieci ore per raccontare l’arco di un personaggio ti porterà più in profondità che averne due, puoi permetterti il lusso di più sfumature. Ma da un punto di vista professionale, la differenza tra fare lo sceneggiatore di un film e fare lo showrunner di una serie è enorme. In televisione lo showrunner è, per molti aspetti, il regista. È lo showrunner che sceglie il cast, sceglie e dirige i capi-reparto, si interfaccia con gli attori, conduce le riunioni di produzione, si preoccupa del budget, si interfaccia con lo Studio e/o il network, lavora con i montatori, il compositore delle musiche, dirige le riunioni di marketing, le comunicazioni stampa. Quando un regista sta male sul set di una serie, è lo showrunner che lo sostituisce. Lo showrunner è l’arbitro finale che dà il tono alla serie. Al cinema di solito lo sceneggiatore consegna la sceneggiatura, magari va a fare una visita sul set ed è tutto. Luca è davvero progressista, quasi sovversivo, per il modo in cui si oppone a questo modello.
Ci puoi parlare del processo di scrittura della serie e di come funzionava la writers’ room?
Per The Terror io sono creatore della serie, nel senso che ho sviluppato e scritto il pilota ma, visto che era la mia prima serie TV, ho avuto un co-showrunner che mi ha insegnato il mestiere all’interno di una produzione così grande e costosa. La writers’ room è durata solo dieci settimane, c’erano altri quattro scrittori e un addetto alle ricerche. Abbiamo scalettato tutti gli episodi insieme, nel senso che abbiamo discusso ogni scena di ogni episodio e poi fatto l’outline. Ognuno dei quattro scrittori ha fatto una prima o una seconda stesura di un episodio a testa, il co-showrunner ne ha scritti due e io ho scritto quattro episodi. Da quel momento in avanti io ho fatto tutte le riscritture e le note di produzione di tutte le sceneggiature, a volte riscritture anche estese, inclusi tutti i dialoghi, in modo che le voci dei personaggi fossero coerenti in tutti gli episodi. Di solito una serie lunga ha una writers’ room che dura più a lungo e sono gli scrittori stessi che modificano i propri episodi, così come vanno sul set quando si gira la loro puntata. Ma The Terror era una limited series e la produzione è stata più come quella di un film di dieci ore.
(Intervista e traduzione a cura di Fosca Gallesio)