Scrollatosi quasi del tutto di dosso quella pesante patina di ossessione nei confronti di un grottesco come architrave di riflessioni metacinematografiche (basti pensare a Doppia Pelle o alla pesantezza di un film pretenzioso come Rubber), Quentin Dupieux – il Mr. Oizo di Flat Beat – approda ad un nuovo stadio del suo lavoro con Mandibules, opera più rilassata e sciolta rispetto a quanto ci aveva fatto conoscere in passato.
Quentin Dupieux si rinnova con Mandibules
Da questa rinnovata consapevolezza dei propri mezzi arriva a guadagnarne un divertimento di squisito stampo demenziale (e quindi vien da sé il tassativo dovere di accettare di prenderlo per ciò che è) che parte da espedienti del nonsense, da sempre cari al regista. Quello presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2020 e disponibile in home video Mustang / CG Entertainment è un road-buddy-movie in una Francia costiera che sembra quasi la California con le sue dune sabbiose e le sue siepi, che vede Jean-Gab (David Marsais) e Manu (Grégoire Ludig) rinvenire nel bagagliaio di un’automobile originariamente destinata ad un losco affare un moscone gigante grosso come un cane.
Posta la premessa a impulso del film senza troppe domande da parte di nessuno, i due decidono di ammaestrare la a dir poco esotica creatura (che regalerà soddisfazioni nel corso del film) per poterle insegnare a commettere rapine per conto loro («come un drone»). Da qua prende il via la natura erratica e sconclusionata della commedia franco-belga, che spara tutta la sua varietà di cartucce molto rapidamente, poche ma efficaci nel contornare senza troppi giri di boa (il film dura circa un’ora e venti) quello che vuole andare a fare senza perdersi in chiacchiere che non siano quelle dei due incredibilmente affiatati protagonisti.
Adèle Exarchopoulos mattatrice del film
È quando però al duo viene ad aggiungersi anche l’elemento di uno incontro-scontro con la realtà vacanziera di un gruppo di borghesi di città (e in questa circostanza Dupieux accarezza l’idea di alcuni isterismi e cliché sociali) che l’umorismo finisce per conoscere ulteriori picchi umorali. L’aggiunta del personaggio della qui biondissima Adèle Exarchopoulos si incastona alla perfezione nella costruzione di un triangolo delle dementi meraviglie, visto che la peculiarità che contraddistingue la ragazza è l’essere costretta a comunicare solamente urlando a causa di un incidente che ne ha intaccato alcune attività cerebrali.
E probabilmente è proprio la Exarchopoulos ad essere il vero pendolo del film tagliando Mandibules a metà con una esilarante prova ad espressione di un incredibile potenziale comico dell’attrice, fondendosi alla perfezione nel tessuto ironico che lega i due protagonisti in un’amicizia rafforzata genialmente (qua c’è da dirlo) dalle scelte di alcune ritualità («toro») capaci di diventare molto rapidamente il primo, vero tormentone di un regista che potrebbe aver imboccato la giusta via.