The Social Dilemma, film Netflix diretto da Jeff Orlowski, è un documentario con elementi di finzione il cui obiettivo è quello di denunciare il ruolo dei social nel vivere contemporaneo e la loro ambigua applicazione.
THE SOCIAL DILEMMA: L’IMPATTO DELLA PROFILAZIONE
Il docudrama intreccia due filoni principali: il primo è la narrazione filmica di una tipica famiglia americana e degli effetti che l’abuso della tecnologia produce sulle nuove generazioni, il secondo è l’insieme delle interviste condotte a personalità note nel mondo della progettazione dei social e ben addentrate nel gioco dei subdoli meccanismi di programmazione.
Il dilemma legato ai social ha un doppio livello di lettura, proprio perché non solo si riferisce alle delicate implicazioni etico-sociali dell’impiego della tecnologia e della sovrapproduzione di disinformazione, quanto anche di una meta-riflessione sui social media e sul modo in cui – come core business – mettono in atto una ‘manipolazione’ dell’individuo con lo scopo di generare profitti. Nulla di nuovo, certo, se non per il fatto che meccanismi vecchi di secoli ora sono plasmati in modo fluido sul singolo individuo.
UNA DENUNCIA DOVEROSA MA UN PO’ SENSAZIONALISTICA
Tra coloro che firmano il film-manifesto, mettendosi in primo piano e rilasciando esplicite interviste, si contano: Tristan Harris, voce principale, dapprima consulente etico per Google, poi presidente e co-fondatore del Center For Human Technology; Justin Rosenstein co-inventore del tasto “mi piace” di Facebook; Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale, di cui ha reso famosa la stessa dicitura; Shoshana Zuboff, professore emerito della Harvard Business School.
Nomi abbastanza eminenti che si sono messi in campo per condurre una ‘battaglia’ contro l’impiego distorto dei social network, e la loro connessione con giganti del tech (ma anche lobby) interessati a trarre profitto dalla quantità di ore in cui le persone vengono tenute incollate allo schermo. Senza però dimenticare come quegli stessi dati siano ormai alla base delle strategie di marketing anche di una moltitudine di piccole attività locali, aggiungiamo noi.
DALLO STIMOLO PAVLOVIANO AI BIG DATA
Di certo, per chi sa navigare nel campo delle informazioni e al di fuori del circuito vizioso delle fake news, le analisi condotte dagli intervistati non fanno altro che rinforzare la consapevolezza dell’essere continuamente monitorati da software programmati da persone molto esperte, fini conoscitrici della psicologia umana e dei suoi punti deboli.
In questo insieme di testimonianze dirette, si aggiunge la narrazione filmica del disadattato Ben (Skyler Gisondo), personaggio tragico che vive la pesante e invincibile dipendenza dai social. Proprio questo filone rende nota l’esistenza dell’avatar che le intelligenze artificiali e gli algoritmi, nel tempo, riescono a disegnare dell’utente per sottoporgli continuamente stimoli a cui gli è quasi impossibile sottrarsi. Il numero di click su un post, il tempo di visualizzazione di determinati contenuti, le ricerche utilizzate tramite Google, tutto è tracciato con lo scopo di definire profili, i quali possono essere inconsapevolmente dirottati da chi offre di più per spostare l’attenzione dello user verso specifici contenuti. I social network si intrecciano con gli interessi del capitalismo, manifestandosi anche come possibilità di poter acquistare e plasmare l’opinione delle persone, e così cambiamenti politici (es. Myanmar), teorie scientifiche falsate (es. terrapiattismo), controllo sociale sono i temi che vengono aspramente denunciati da chi, pur programmando determinati contenuti, ne diventa irrimediabilmente succube e dipendente.
Sarebbe stato interessante anche un generoso approfondimento su come i big data (ovvero la forma aggregata di questa sterminata mole di informazioni derivanti anche dalla profilazione individuale) siano alla base delle scelte di mercato della stessa Netflix, ma probabilmente uno dei motivi per i quali il web service di Los Gatos ha acquistato la pellicola è anche proprio per questo focus strettamente limitato ai social.
I SOCIAL, IL FILM E L’ARTE DELL’ILLUSIONISTA
Il tema dell’illusionismo diventa la chiave di volta per poter interpretare il funzionamento dei social network. Cercare una notizia, per chi non ha gli strumenti per comprendere il dirottamento messo in atto dai programmatori e dagli algoritmi, assume il sapore di una libertà forte ma che non ha nulla di reale. I social spesso possono costruire solo l’illusione della conoscenza, una prigione le cui sbarre sono placcate in oro, i particolari degli arredamenti ornati, per far credere che l’apparenza del lusso sia indicativa di libertà. Eppure, un pensatore critico ed esperto, informato, consapevole, cliccando e cercando sui motori di ricerca e sui social network, in fondo sa che “se non sta pagando per il prodotto, allora è egli stesso il prodotto”.
C’è da sperare che la recente reintroduzione dell’educazione civica nei programmi scolastici aiuti a formare cittadini capaci di uno sguardo socratico nell’uso degli straordinari strumenti che la rete ci mette a disposizione. Per ora non possiamo che invitarvi ad approfondire gli spunti offerti dalla pellicola ma anche a non prendere per oro colato un film che taglia con l’accetta un tema ben più complesso rispetto a come viene presentato, sorvolando con troppa leggerezza sulle implicazioni dei big data, dimenticandosi dell’impatto positivo avuto su molti fronti dal social web e tralasciando gli aspetti più pratici e tecnici legati agli algoritmi – quelli che contano davvero.