La regista di origini ucraine Natalija Yefimkina esordisce alla regia con Garage People (Garagenvolk), documentario presentato in anteprima mondiale al Festival di Berlino e che arriva per la prima volta in Italia in concorso ufficiale al Trieste Film Festival 2021.
Garage People (Garagenvolk): un documentario su uno spicchio di realtà privata
E per il suo debutto dietro la macchina da presa la Yefimkina decide di immergersi nel freddo nord di una Russia che pare sospesa in una realtà di confine tra la caduta dell’URSS e la modernità di uno stato che in questo angolo di mondo arriva solo con eco lontane e contraddizioni in termini. È una realtà in apparenza miserabile e rimasta indietro in un tempo che l’ha come dimenticata, lottizzata in spicchi di possibilità condensati all’interno di questi garage che sono l’oggetto di interesse di tutto il documentario.
O meglio, i garage come contenitori di un’alternativa, di uno sfogo degli individui che li abitano, li addobbano, li lavorano, li tengono in ordine, che quest’ordine sia visibile all’occhio di chi osserva oppure solo dominio della mente che l’ha partorito. Menti talvolta contorte come lo sono i pittoreschi proprietari che emergono da questi piccoli antri come minatori dalla miniera (e di miniera ce n’è una in prossimità di questo borgo urbanizzato e derelitto, che torna in un paio di occasioni come coordinata di un esistere che è sinonimo di fatica).
Menti insondabili, come quella dell’uomo ultrasettantenne che sotto il suo garage ha scavato e scavato, sudore di un’intera vita riversato in un’azione apparentemente senza logica alcuna ma che cela, di fatto, l’unico ritornello del suo essere al mondo, l’unico scopo, l’unico motore che lo avvicina un colpo di pala alla volta al cuore irraggiungibile della Terra. Ancora ce n’è un altro che nel garage-officina compie piccoli lavori d’artigianato, raccoglie ferraglie e circuiti stampati, mentre tenta di tenere a freno la frenesia di un corpo provato dal Parkinson che sconquassa il suo equilibrio e gli stampa tra gli spasmi incontrollabili anche Mefistofele sul volto.
Garage People (Garagenvolk) non giudica, si limita a osservare con curiosità
Questi spazi di qualche metro quadrato sono reami personali, deliri, rievocazioni storiche, musei senza visitatori dove la macchina da presa di Yefimkina si insinua con rispetto di ciò che inquadra e profonda curiosità. Fuori da queste mura il tempo è scandito da un continuo ciclo giorno-notte che fa passare le ore che mutano qualche istante dopo in settimane e addirittura mesi. Nel frattempo la Garage People (Garagenvolk) rimane lì, in un cristallo sporco di scelte prese nella vita che hanno condotto al “qui e ora” che mal cela l’amarezza del riconoscersi più che altro nelle opportunità che sono andate perdute (colpisce in particolare il brevissimo racconto di uno dei personaggi che eterna un’intera vita storta, impercettibilmente, agli angoli della bocca).
La regista non giudica mai e non colora di sfumature ciò che ci pone davanti agli occhi, lasciando che l’ironia, la tragicità, il grottesco, il realismo emergano da soli con la loro crudezza. L’atto recitativo coincide con un variopinto caleidoscopio di cellule che raggiungono la loro eterogeneità solamente a livello microscopico, fuori dalla portata di un organismo all’interno del quale appartengono e che dimentica, nella ragione del macrosistema, i loro volti così segnati.