Tower. A Bright Day (Wieza. Jasny Dzien), drama-thriller polacco presentato al forum della Berlinale nel 2018 e al Trieste Film Festival 2021, comincia con un ‘disclaimer’ posto nei titoli di testa che ci avverte che ciò che stiamo per vedere è «basato su eventi futuri». Dopodiché il film comincia con una veduta area di una città e una colonna sonora molto solenne e ritmata che ricorda i lavori del compianto Jóhann Jóhannsson, il compositore islandese divenuto celebre per la collaborazione con Denis Villeneuve.
TOWER. A BRIGHT DAY E IL PUNTO DI RIFERIMENTO DI UN CERTO CINEMA D’AUTORE
Un incipit che porta in nuce i macro-difetti del film, i quali non hanno tanto a che fare con regia e sceneggiatura, quanto con la mentalità tramite il quale l’opera è stata pensata prima e progettata poi. Tower. A Bright Day (Wieza. Jasny Dzien) vuole essere un film d’autore e per farlo cade nel citazionismo sfrenato, nell’emulazione degli altri. Dentro l’esordio alla regia di Jagoda Szelc – che del film è anche sceneggiatrice – ci sono citazioni ad Haneke, Bergman, Von Trier e Reygadas, ammiccamenti a un preciso stile “alto” di cinema a cui il film vuole disperatamente appartenere.
Tower. A Bright Day (Wieza. Jasny Dzien) racconta di Mula, una donna con una vita tranquilla e felice, sposata e con una bella casa nella campagna. In occasione della celebrazione della prima comunione della figlia Nina, Mula invita sua sorella, Kaja, una donna mentalmente instabile con un passato misterioso. Le due condividono un grande segreto: in realtà Nina è figlia di Kaja, ma è sempre stata con la sorella di quest’ultima ed è convinta di essere appunto figlia di Mula.
LO SCRIPT DI TOWER. A BRIGHT DAY E LA DIFFERENZA TRA TENSIONE E ATTESA
Dopo quindici minuti veniamo a sapere del grande segreto delle due sorelle, fonte di discordia fra le due e ovviamente di tensione. Kaja è imprevedibile, e sua sorella lo sa. Potrebbe rivelare la verità alla bambina e verosimilmente rovinarle la vita. Su di questo dovrebbe imperniarsi lo script, invece non abbiamo mai la sensazione che le cose siano in procinto di accadere.
Il copione della Szelc cerca disperatamente di stimolare nello spettatore sensazioni simili a quelle che si provano guardando un film come Melancholia di Lars Von Trier. Il setting è simile: una celebrazione, una famiglia riunita, un momento apparentemente di festa che piano piano degenera nel male e nel sovrannaturale. Eppure nel film di Von Trier le informazioni, come nei migliori thriller, venivano rivelati scena dopo scena. Ogni sequenza illuminava con maggior nitidezza Justine, il suo matrimonio e la sua difficoltà. Sullo sfondo, un pianeta si avvicina. Nessuno sembra sapere cosa fare. Melanocholia prendeva il concetto di presagio e lo portava al massimo livello possibile, tenendoci incollati allo schermo.
In Tower. A Bright Day (Wieza. Jasny Dzien) manca completamente il senso di progressione, il processo decisivo di costruzione che fa la differenza tra uno script perfetto e uno difettoso. Tutto ci è dato subito, portandoci quindi ad attendere la ‘tragedia’ o insomma il finale nel quale il male e i difetti della protagonista verranno fuori. Eppure la presenza di un climax farebbe la differenza tra tensione e attesa, terrebbe incollati allo schermo anziché all’orologio.
UNO STREPITOSO COMPARTO TECNICO PENALIZZATO DA UN ECCESSIVO CITAZIONISMO
Per cercare di sopperire all’insufficienza in termini di intreccio legato ai personaggi, lo script della Szelc fa uso di due espedienti. Uno di questi è un’insistita ricerca di un’atmosfera ‘di presagio’. Si pensi a questa scelta di scrittura: nel lungometraggio muore il Dalai Lama, il prete che deve celebrare messa incontra un momento di difficoltà – come il pastore di Luci d’Inverno di Bergman – e attorno alla casa della protagonista vola un elicottero in cerca di qualcuno. Abbiamo insomma personaggi secondari poco sviluppati ma messi lì per acuire artificialmente un’incombenza metafisica.
Il secondo espediente riguarda degli intermezzi, slegati dalla trama del film, che saltuariamente vengono inseriti fra una sequenza e l’altra. Vediamo un cane della famiglia scavare la terra di notte, contro un bellissimo cielo plumbeo in mezzo alle montagne. Lo stesso panorama che vediamo più volte nel film: un temporale fragoroso, tuoni e fulmini, un cielo grigio e il paesaggio sperduto. Ancora, una metafora di ‘presagio’, un po’ vecchiotta e stantia ma di una bellezza sgargiante.
TOWER. A BRIGHT DAY È UN DEBUTTO IMPERFETTO MA AMBIZIOSO
Il punto è che, nonostante i difetti in fase di sceneggiatura, Tower. A Bright Day (Wieza. Jasny Dzien) è tecnicamente fantastico sotto tanti aspetti. La fotografia degli intermezzi, assieme al movimento ellittico della macchina da presa ricorda tantissimo le scene paesaggistiche di Reygadas, da Post Tenebrae Lux all’incipit di Nuestro Tiempo. Mentre nell’uso della telecamera a mano pesano le zoomate utilizzate con un tempismo non sempre perfetto, specialmente nelle sequenze iniziale in cui la regista tende ad abusarne.
In conclusione Tower. A Bright Day (Wieza. Jasny Dzien) ha dei difetti non rari fra i film d’esordio. Da un lato si nota la voglia di somigliare ai “maestri” che però qui è fin troppo pronunciata: Tower nasce da una costola di Melancholia e di Von Trier la regista copia spudoratamente il modo di riprendere e montare le scene, senza però sortire lo stesso effetto. Il risultato è che a fronte di una ottima realizzazione tecnica, l’opera si sfalda per la sua voglia di essere “cinema alto”, di appartenere appunto all’universo dei registi che contano.