La Biennale di Venezia: il Cinema al Tempo del Covid, prima di essere un documentario, è una riflessione sul tempo come processo dialettico in cui eterno ritorno e seconda legge della termodinamica sono antitesi e sintesi di un respiro che trascende le nostre vite. Una testimonianza discreta della 77. Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia, primo grande evento mondiale nel 2020 a misurarsi con la famigerata ‘nuova normalità’, che però non si limita a osservare il presente ma sonda il passato e sbircia al futuro, come è tipico nel cinema di Andrea Segre. Un lavoro di soli 44 minuti ma non per questo non meritevole di visione, presentato al Festival di Venezia 2021, edizione n.78, come pre-apertura.
ANDREA SEGRE E UN NUOVO CAPITOLO DELLA ‘FASE VENEZIANA’
Sembra passata un’eternità da quando, nel 2017, il cineasta veneziano Segre presentò al Lido il suo L’Ordine delle Cose, lungometraggio di finzione che denunciava il compromesso inumano dei lager libici come strategia accettata e incentivata dall’Italia per contenere i flussi migratori dall’Africa. Non è che quei temi non siano ancora attuali – nonostante un gattopardesco avvicendarsi di governi dalle sfumature cangianti – ma semplicemente quell’amaro cambiamento chiamato Coronavirus ha travolto il mondo e la nostra vita quotidiana. E, complici le restrizioni agli spostamenti e quella necessità di guardarci dentro emersa in molti di noi in un momento tanto drammatico, il viaggio veneziano intrapreso dal regista con il suo film successivo è diventato un vero e proprio percorso artistico.
Prima del Covid infatti, nel 2019, Segre era tornato alla sua città natia con Il Pianeta in Mare, che sullo sfondo della laguna e di Marghera si muoveva tra i ricordi del boom industriale del secondo dopoguerra e la crisi economica del nostro tempo. L’anno successivo, mentre le televisioni alternavano le drammatiche immagini dei convogli di mezzi militari carichi di bare a Bergamo e gli improvvisati cantori che alle 18 cercavano conforto sui balconi, Segre si aggirava per una deserta e spettrale Venezia con la sua camera, alternando in Molecole testimonianze di chi lì non ci sta da turista con i super-8 di suo padre.
LA BIENNALE DI VENEZIA: IL CINEMA AL TEMPO DEL COVID, IL DOCUMENTARIO DI ANDREA SEGRE RACCONTA IL FESTIVAL DI VENEZIA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
Siamo quindi a questo 2021, in cui la pandemia è ancora ben lontana dal finire e la definizione linguisticamente orrenda di new normal è ormai – fortunatamente – sparita dai discorsi, ma solo perché ci siamo abituati e rassegnati a una vita in cui novità e normalità sono diventati concetti dal sapore quasi esotico. Siamo a Venezia 78, e alla kermesse diretta da Alberto Barbera Andrea Segre presenta non uno ma due film: il lungometraggio di finzione Welcome Venice e questo La Biennale di Venezia: il Cinema al Tempo del Covid. Sì, altri due film legati a Venezia, frammenti di una fusione tra l’arte e il privato che – ormai è evidente – per l’autore sono esternazioni di un processo interiore.
La Biennale di Venezia: il Cinema al Tempo del Covid, come dicevamo, segue i dettami del Cinema di Segre, e quindi ancora una volta fonde contributi di osservazione del quotidiano, immagini di repertorio da un glorioso ieri e schegge di un passato tanto prossimo da odorare di futuribile. La camera di Segre è, qui più che mai, tanto algida e volutamente marginale nel raccontare senza intromettersi, quanto ricca di potente emozione nel suggerire i moti dell’anima che quelle inquadrature cercano di contenere e controbilanciare.
LA BIENNALE DI VENEZIA: IL CINEMA AL TEMPO DEL COVID E QUELLA NORMALITÀ CHE SI ANNIDA FUORI DAL TEMPO
Soprattutto per chi il Festival di Venezia è abituato a frequentarlo, quelle del film sono immagini perturbanti, di straordinaria familiarità e al contempo di inquietante ostilità. Una delle primissime scene della pellicola, quasi una didascalica dichiarazione d’intenti, riassume da subito il senso del film: gli spazi della Sala Grande al Lido, tempio di meravigliosi ricordi cinefili, si concedono deserti a due individui che asserragliati dentro tute anti-contaminazione sanificano gli ambienti in previsione di un fragile tentativo di ritorno a un avanzo di normalità. La quintessenza del documentario di Andrea Segre, che certamente rimarrà una pietra miliare nella documentazione storica della Biennale, è proprio questa: testimoniare il particolare per astrarre all’universale. Un’operazione intrisa di dolce malinconia che non può che dirsi un pieno successo artistico.