Fino Alla Fine segna il ritorno al cinema di Gabriele Muccino dopo ben quattro anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio, Gli Anni Più Belli. Presentata in anteprima alla 19ª Festa del Cinema di Roma, l’ultima fatica del regista de L’Ultimo Bacio è un mix di generi che rappresenta una sorta di sfida per il cineasta romano. Operazione riuscita? Purtroppo non del tutto.
Fino alla Fine racconta la love story frenetica tra un criminale e una turista
Fino Alla Fine vede come protagonista Sophie (Elena Kampouris), una ragazza americana che, assieme alla sorella, si trova in vacanza a Palermo. Il giorno prima della ripartenza per la California Sophie incontra al mare Giulio (Saul Nanni) ed è amore a prima vista. C’è però un problema: Giulio e il suo gruppo di amici, capitanato dal carismatico Komandante (Lorenzo Richelmy), trascinano la giovane in una vicenda troppo grande e pericolosa per lei.
Con Fino Alla Fine Muccino cerca di sperimentare con il genere
Gabriele Muccino, con Fino Alla Fine, si mette in gioco cercando di uscire dalla sua comfort zone: nonostante nella prima parte il focus sia concentrato sulla nascita della storia d’amore tra Sophie e Giulio (e fin qui nulla di nuovo, se guardiamo alla carriera dell’autore), nella seconda metà il film diventa un vero e proprio heist movie dal ritmo serrato.
Certo, Fino Alla Fine è tutt’altro che originale – infatti è liberamente ispirato a Victoria, lungometraggio tedesco del 2015 di Sebastian Schipper girato in un unico piano sequenza – e ben più riuscito. Muccino nel suo lavoro dà comunque la propria personalità alla pellicola: le dinamiche tra i personaggi sono quelle tipiche della filmografia mucciniana (urla annesse) e, anche nella regia, il suo sguardo è estremamente riconoscibile pur non disdegnando un approccio da genere puro (le scene d’azione, ad esempio, sono ben dirette).
Il problema principale di Fino Alla Fine è non aver trovato l’equilibrio tra melò e thriller
Nonostante alcune evidenti forzature, dove in più di un’occasione la sospensione dell’incredulità è obbligatoria, Fino Alla Fine riesce comunque per gran parte della sua durata a reggersi in piedi grazie al concatenarsi frenetico degli eventi e alle interpretazioni, pur sopra le righe, di un cast all’altezza del compito (in cui spiccano Elena Kampouris, Saul Nanni e Lorenzo Richelmy). La voglia da parte della protagonista di lasciarsi alle spalle un passato traumatico per affrontare la vita fino in fondo, nel bene e nel male, è vibrante; per questo motivo l’escalation adrenalinica del racconto è, da un certo punto di vista, coerente. Tuttavia i minuti finali di Fino Alla Fine, a causa di un’esagerata deriva melodrammatica, distruggono completamente l’impalcatura narrativa: sciaguratamente ci troviamo di fronte ad una caduta di tono clamorosa, che rasenta quasi il ridicolo per come è sviluppata e messa in scena.
Sulla carta Fino Alla Fine è un film concepito per poter avere un potenziale commerciale non solo nel nostro paese ma addirittura all’estero: l’opera è stata girata in due versioni in lingue diverse (prima volta per il regista) e, da come viene rappresentata la bellezza di Palermo, la resa estetica è a misura per un pubblico straniero. Tuttavia l’esperimento compiuto da Muccino alla lunga non convince perché, non riuscendo a trovare l’equilibrio giusto tra melò e thriller (in cui il primo si mangia il secondo), il lungometraggio potrebbe non essere apprezzato al di fuori dei nostri confini e, in Italia, il rischio di non trovare uno specifico target di riferimento è molto forte.