Longlegs, horror scritto e diretto da Osgood Perkins (Hansel e Gretel, Sono la Bella Creatura Che Vive in Questa Casa), è tutto sommato un esperimento interessante. Lo è nella misura in cui dimostra che una campagna di marketing martellante ed enfatica può convincere il pubblico generalista di trovarsi di fronte a un instant cult. Eppure, al netto dei ‘vetrini colorati’ buoni per stupire giusto i palati più grossolani, la verità è che Longlegs è un film del tutto mediocre e, in un’epoca in cui il cinema di genere è diventato terreno d’elezione della nuova autorialità (si pensi a nomi come Aster, Eggers, Peele, Lanthimos, Flanagan, Cronenberg, Garland, Villeneuve, Von Trier e Aronofsky) può giocare al massimo nel campionato degli ‘horror di cassetta’ della Blumhouse – e senza nemmeno eccellere.
LA TRAMA DI LONGLEGS, IL FILM HORROR CON NICHOLAS CAGE
Longlegs porta lo spettatore negli anni ’90, nel pieno dell’indagine di due federali (Maika Monroe e Blair Underwood) che cercano di mettere insieme il puzzle di una serie di misteriosi omicidi. Più l’FBI cerca di dare un perché ai raptus che hanno portato persone normali a sterminare le proprie famiglie e più la possibilità che siano coinvolte forze soprannaturali sembra probabile. A rendere il tutto più indecifrabile, la sfuggente figura di un ‘terrificante’ Nicholas Cage che sembra una vecchia zia anemica e appassionata di glam rock a cui hanno rubato tutti i gatti.
Il regista di Longlegs avrebbe anche una buona mano
Perkins, che oltre a stare dietro l’obiettivo firma anche il copione, non sarebbe affatto un cattivo regista. Almeno in termini di estetica. I suoi movimenti di macchina agganciati sui personaggi funzionano, il film ha un taglio stilistico affascinante, la sua scelta di raffigurare corpi piccoli in grandi spazi è d’impatto e il suo uso delle linee di fuga nella composizione è sempre elegante e curato. Non solo: riuscire a dare un’atmosfera vagamente vintage pur optando per un’immagine pulita e non inondata dai soliti disturbi digitali è meritorio.
LONGLEGS, LA SPIEGAZIONE DELL’INSENSATA STRUTTURA DEL FILM
Eppure, come sceneggiatore, Perkins è incredibilmente pigro e inconcludente. Longlegs infatti sembra la fusione a freddo di tre elementi del tutto indipendenti tra loro: un thriller poliziesco dai tempi dilatati e che indulge sul privato dei detective, un horror generalista a tema demoniaco e, infine, lui: il classico personaggio sopra le righe di quando Nicholas Cage si scorda di saper essere un attore incredibile.
L’FBI anni ’90, roba horror a caso e un Nicholas Cage «cioè veramente troppo mattissimo»
Il problema è che la prima ora del film ce la mette tutta per scimmiottare Fincher o Demme, ma tutto il lavoro di preparazione nel restituire tridimensionalità in particolare all’agente interpretata da Monroe (che ricordiamo nel ben più riuscito It Follows) risulta vano e non arriva mai a diventare patrimonio della storia. Anzi, alla fine dei giochi è semplicemente risibile la nonchalance con cui i federali accettano le spiegazioni esoteriche dietro gli omicidi.
Per quanto riguarda la parte più propriamente horror della pellicola, le suggestioni utilizzate da Perkins sembrano scelte con un tiro di dadi e anziché, contribuire a un’amalgama se non coesa quantomeno sensata, diventano ‘figurine’ confuse utilizzate per suggerire un immaginario del tutto estraneo al corpo del film. Pochissimi riescono a giocare esplicitamente con i codici di un genere, e Perkins evidentemente non vale nemmeno l’unghia di un Flanagan.
Infine c’è Er Parucca, il villain la cui interpretazione gigionesca sembra scelta con un ‘generatore automatico di personaggi di Nicholas Cage’, ma che non ha alcuna connessione con l’immaginario visivo del resto del film, è caratterizzato da un risibile trucco prostetico reminiscente de Il Fantasma dell’Opera di Lon Chaney e soprattutto non ha alcuna profondità che lo renda interessante. È un po’ la locura di Boris, un «lo famo strano così il pubblico magari ci casca». E a quanto pare così è andata, visti gli ottimi risultati al box office.
LONGLEGS È POCO PIÙ DI UN LUNGO EPISODIO DI X-FILES
Sia chiaro, Longlegs non è un brutto film, ma non colpisce neanche in positivo, e il lavaggio del cervello fatto dalla campagna promozionale sembra a dir poco fuori luogo. In fin dei conti è un episodio ipertrofico di X-Files, confezionato con un certo stile (a partire dai titoli non originali seppur molto ben concepiti) ma che allunga il brodo più di quanto sia lecito, non spaventa nessuno con i suoi jump scare telefonatissimi e si regge su un citazionismo ruffiano e per nulla ispirato.
Le imbarazzanti parole del regista di Longlegs
La questione principale è infatti proprio che la pellicola non ha idee degne di questo nome e sembra solo un pastiche confuso e completamente derivativo. Ma le parole di Perkins stesso chiariscono quanto questa lettura sia fondata: «È un po’ come una compilation di film horror» ha dichiarato il regista. «Longlegs ha davvero un po’ di tutto quando si tratta delle aspettative sul genere. C’è un massacro con l’ascia. C’è un serial killer. C’è il diavolo. C’è l’FBI. Ci sono bambole inquietanti. Ci sono fienili inquietanti. Dentro c’è tutto, come in una sorta di milk-shake». Un milk-shake in cui mischiare a caso un’infinità di ingredienti: che potrebbe mai andare storto?