Twin Peaks 3 è disponibile in DVD e Blu-ray a partire dal 28 marzo 2018 con Universal Pictures Home Entertainment Italia. Entrambe le edizioni contengono tutte le 18 puntate interamente dirette dal quattro volte candidato all’Oscar David Lynch e oltre 6 ore di contenuti speciali nell’edizione DVD e oltre 8 ore in quella Blu-ray.
“Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”
(Eugenio Montale, Ossi di Seppia)
Non ci sono parole, teorie, deduzioni o formule che possano dare un significato preciso ai due strepitosi episodi che hanno chiuso la terza stagione di Twin Peaks. Ogni interpretazione è plausibile, ovviamente: poco importa se si tratta di realtà o illusione. David Lynch, pur con rallentamenti narrativi e filler a volte irrilevanti, ha appena mostrato al mondo una stagione televisiva sensazionale, innovativa, a cavallo tra il cinema e il piccolo schermo, densa di sequenze e battute che presto acquisiranno lo status di cult (l’Hellooooo di Dougie già lo è diventato). Violenta, spaventosa, lisergica, allucinogena, divertente e malinconica: Twin Peaks 3, al di là di alcuni suoi difetti, è uno dei più memorabili lavori prodotti dall’animo irrequieto di Lynch. Un artista, prima ancora che un regista.
La puntata che più di tutte ha rappresentato lo spartiacque all’interno di questo prodotto è stata indubbiamente la 3×08: dopo quell’incredibile ora di televisione qualcosa doveva cambiare. Un episodio nel quale Lynch coniuga di nuovo il passato col presente: cinema sperimentale puro, realizzato in bianco e nero, quasi del tutto senza dialoghi; l’origine del male come non era mai stata raccontata. La 3×08 sembrava anticipare una serie incredibile di eventi, eppure lo show ha fatto fatica a riprendersi nelle puntate successive, perché era difficilissimo mantenere la qualità così alta (probabilmente il regista avrà pensato per anni a questo episodio, forse proprio dal principio). Dopo un magnum opus del genere, il calo era tutto sommato fisiologico: la storia ha avuto un’improvvisa battuta d’arresto, i tempi si sono dilatati e le domande dello spettatore non hanno trovato adeguate risposte. La trama viene appesantita da nuovi personaggi, situazioni incomprensibili, simboli indecifrabili e passaggi tanto complicati da essere difficili da seguire e capire alla perfezione, specialmente vedendo gli episodi a distanza di una settimana. Non sappiamo se la volontà di produrre 18 puntate (un numero elevato, considerato lo standard della cable tv) sia da attribuire a pressioni da parte di Showtime o alle intenzioni del regista stesso e di Mark Frost, ma di fatto, dopo aver visto la serie nella sua interezza, alcuni episodi sono poco funzionali ai fini dello script: per esempio, è difficile trovare un nesso tra il personaggio della Seyfried e le varie storylines specialmente in relazione alla sottotrama che la vede protagonista, avulsa dalle sorti degli abitanti di Twin Peaks e dei protagonisti.
“TOTO, HO L’IMPRESSIONE CHE NON SIAMO PIU’ NEL KANSAS”
Già dall’episodio 14 il ritmo comincia a cambiare: Lynch e Frost iniziano a tirare le somme e a chiudere alcune linee narrative. Si avvicina l’incontro/scontro tra Cooper e Dougie, il personaggio di Diane diventa poco a poco più chiaro e i “contorni” delle creature oniriche e spaventose, come gli uomini neri e la donna senza occhi, si fanno sempre più nitidi. In un climax crescente Lynch riesce a far coincidere l’aspetto metafisico della sua visione artistica con la componente nostalgica: Twin Peaks 3 è indissolubilmente legato a Il Mago di Oz, l’opera letteraria che Lynch cita continuamente come fonte di ispirazione e che già aveva omaggiato in Cuore Selvaggio.
Non è un caso, infatti, che i buoni facciano di tutto per tornare a casa mentre l’obiettivo dei cattivi è quello di starne il più lontano possibile. Tutto questo girovagare per arrivare sempre più vicini alla propria “abitazione” è il vero centro attorno al quale gira il terzo capitolo di Twin Peaks. Cooper viene catapultato nella vita, nell’universo e nel corpo di Dougie senza apparente possibilità di tornare indietro; allo stesso modo Dorothy viene trasportata incredibilmente nel meraviglioso mondo di Oz da un tornado, incredula e spaventata quando mette piede in un mondo che è “both wonderful and strange”.
Lynch però, come detto prima, riesce a unire il metafisico con il malinconico e il sentimentale. Soltanto lui riesce a creare un universo del genere: alimentato, governato ma mai soggiogato dal caos e dalla mancanza di regole. Quando vediamo Twin Peaks accettiamo come verosimile ogni cosa che vediamo in scena: la trovata del guanto, ad esempio, sarebbe potuta sembrare sbrigativa in altre sedi mentre in questo caso non ci sorprende né ci irrita.
Ciò che Lynch ha tradotto in immagini ha un’origine profonda, misteriosa e impossibile da assimilare in modo razionale. Il guanto, i messaggi di Philip Jeffries, le profezie del gigante sono le “scarpette d’argento” della Dorothy letteraria, un dono da parte di un’entità superiore, irrazionale. Un dono agli uomini buoni per farli tornare a casa, una volta per tutte.
Finisce in modo struggente, misterioso, “meraviglioso e strano” questa stagione di Twin Peaks. Gli interrogativi superano ancora le risposte, le spiegazioni razionali languono e certi misteri dei primi due capitoli rimangono ancora irrisolti (come il rapporto tra Diane e Cooper o come il modo in cui Audrey sia sopravvissuta all’esplosione). Davanti ad uno show normale ci saremmo preoccupati dinanzi alle risposte non ricevute, ma con Lynch no. Con lui non è possibile.
IL CINEMA DEL FUTURO
Abbiamo assistito al futuro del cinema e dell’intrattenimento: Twin Peaks 3 ha inevitabilmente aperto la strada ad una sperimentazione pesante, totale. Ad ogni scuola di cinema si dovrebbero passare giornate ad analizzare e studiare l’uso del sonoro di David Lynch, dalla donna senza occhi (le cui mani suonano come coltelli) fino alla sequenza più bella dell’episodio 15 nel quale il suono industriale di Muddy Magnolias – American Woman (David Lynch Remix) ricorda dei colpi di pistola. Lynch pensa ad un’arte pronta a dimenticare la parola. Federico Fellini, nel suo libro Fare un film, accusava già la parola di non avere una funzione fondamentale ma di essere solamente un mezzo per aiutare lo spettatore ad entrare in un mondo. L’opera di Lynch è un’esperienza sinestetica, da percepire più che da comprendere: musica elettronica, Penderecki, Nine Inch Nails, dream-pop ed Eddie Vedder, assieme alla musica del Roadhouse.
Persino gli stacchi di montaggio fanno rumore, come quel suono inquietante che si ripete nelle scene dal benzinaio. Il regime della parola va esaurendosi: grazie ai progressi tecnologici dell’industria audiovisiva, un cinema come quello del regista americano è ciò che ci aspetta nei prossimi cinquanta anni. La via l’ha aperta David Keith Lynch, uno dei più grandi registi viventi.