Il dramma interiore è al centro della nuova pellicola di Savi Gabizon, Ga’agua – Longing (titolo originale Ga’Agua), presentata in anteprima mondiale nella sezione Giornate degli Autori durante la 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitrice del Premio del Pubblico BNL.
Il regista israeliano, amato in patria da pubblico e critica, in Ga’agua – Longing ci racconta la storia di un uomo lacerato da una serie di drammatiche fatalità che si presentano in maniera inaspettata, sconvolgendo la sua apparente tranquillità.
Ariel (Shal Avivi) è un uomo di circa cinquant’anni, un imprenditore di successo dalla vita ordinaria. Improvvisamente riceve una telefonata che lo indurrà a fare i conti con il proprio passato: la sua fidanzata dell’università Ronit (Asi Levi) lo informa di aver avuto un figlio da lui diciannove anni prima ma alla buona notizia ne segue una drammatica, il ragazzo è morto la sera prima in un incidente stradale. Ariel, sconvolto dalla situazione, in un turbinio di pensieri contrastanti decide di mettersi in viaggio per ritrovare un figlio mai conosciuto, ricostruendone gli ultimi anni della sua vita attraverso le storie raccontate da amici, insegnanti e parenti.
Come in una seduta dallo psicologo Ariel dovrà compiere un’operazione di ricostruzione interiore su un rapporto padre-figlio mai nato. Un modo per elaborare il lutto di una parte significativa della sua vita, che però non ha mai avuto l’occasione di vivere. L’uomo vede il figlio aggirarsi per i luoghi che ha frequentato, suonare il pianoforte che tanto amava e andare alle partite di calcio della sua squadra del cuore.
Il lavoro compiuto dal regista Savi Gabizon è tutto basato sulla ricostruzione interiore, partendo dal concetto di mancanza ed andando a finire nella risoluzione del lutto attraverso un espediente che sorprenderà gli spettatori. Il regista ci indica le debolezze di un uomo, un imprenditore che inizia a mostrarsi pubblicamente e compiere azioni lontanissime dal suo stile di vita. In Ga’agua – Longing si vuole mostrare la reazione dell’uomo ad una serie di eventi inaspettati e sconvolgenti, capaci di ribaltarne la quotidianità.
Il film è interessante perché esplora il legame fra un padre ed un figlio da un punto di vista alternativo: la ricostruzione degli eventi è come un guardarsi allo specchio, per comprendere ed elaborare qualcosa che non è mai esistito ma, per qualche oscuro motivo, è comunque parte di noi.
In definitiva una buona pellicola, girata con molta professionalità da Savi Gabizon che ritorna alla regia dopo molti anni di assenza. Vincitore di numerosi premi internazionali con il suo film Lovesick on Nana Street (Hole Ahava B’Shikun Gimel) del 1995, Gabizon riporta lo spettatore nell’Israele di provincia con un lungometraggio introspettivo in grado di analizzare il dramma familiare da un punto di vista anticonformista.