Il regista Fulvio Risuleo ha scritto con Andrea Sorini il lungometraggio Guarda in alto, presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella Città – Panorama Alice Italia / Kino
Partiamo da un piccolo pitch dell’idea di Guarda in Alto.
Il protagonista è Teco, un giovane fornaio, annoiato dalla sua vita monotona, che decide di lasciare il posto di lavoro e fuggire, perché incuriosito da uno strano evento che accade davanti ai suoi occhi. Lui è lì a fumare una sigaretta sui tetti romani quando un gabbiano perde quota e si schianta a terra, emettendo un rumore metallico molto strano. Quindi andando a curiosare su cosa sia successo si accorge che ci sono tante altre cose molto insolite che avvengono sui tetti e decide di non scendere più, perché quella realtà si rivela essere molto più interessante della sua vita. Nel suo percorso incontrerà molti personaggi e questo viaggio segnerà l’inizio di una grande avventura.
Fulvio tu sei anche sceneggiatore delle tue opere. Come ti sei trovato a lavorare con Andrea Sorini, che è anche un tuo collega da tempi del Centro Sperimentale di Cinematografia?
Con Andrea Sorini, che è prima di tutto un amico che un co-sceneggiatore, scrivevamo insieme nel senso che prima parlavamo a lungo della storia. Un brainstorming durato anni! Il suo apporto è stato fondamentale dai primi momenti, quelli precedenti alla scrittura, dai film che mi faceva vedere, dalle idee che condivideva con me, dagli scambi di opinione e dalle lunghe mail che ci inviavamo per aggiornarci sullo status della nostra storia. Ci sono stati periodi in cui facevamo tutto assieme, condividevamo di tutto, anche casa! E altri in cui eravamo distanti ma continuavamo a sentirci e ad alimentare questa fiamma che era ed è il cuore del film. È stato un periodo molto prolifico sia di idee che di situazioni.
In particolare poi questo film aveva bisogno della scrittura con un amico, perché un progetto quando dura così tanto e si protrae così a lungo nel tempo, devi volerlo tanto per portarlo avanti, l’aspetto amicale diventa molto più importante di quello professionale. Perché poi il primo film è sempre difficile, perché non sai bene cosa far per prima cosa e quindi l’idea di arrivarci assieme piano piano è allettante, si sbaglia e si corregge tutto. All’inizio la sceneggiatura era enorme con decine e decine di personaggi in più, poi ho deciso di fare una scelta. Di trovare solo quei personaggi che per me erano quelli più simbolici, che potessero significare di più per il viaggio del nostro eroe.
Come è avvenuto, se ti ricordi, il momento in cui hai capito che quella era l’idea giusta da raccontare per questa storia?
Questo è un film pieno di personaggi, ma sapevo che doveva essere una sorta di road movie, sapevo che c’erano dei personaggi precisi che poi effettivamente ci sono finiti dentro. Una volta stando su un tetto all’Esquilino ho fatto caso ad una cosa, ho visto che a Roma i palazzi sono tutti vicini. E io ho pensato, se io potessi spostare questi personaggi su di un tetto cosa accadrebbe? E in effetti la storia si è quasi iniziata ad incastrare bene da sola. Ho cercato un sistema, quasi un obbligo, un dogma: ovvero il film non può scendere. Deve accadere tutto sopra tetti. Deve essere quello il mondo della mia storia. Io c’ho provato in tutti i modi, perché i personaggi passano nei condotti di areazione, attraverso le mura romane, ma poi dopo si torna sempre su. È come Il Barone Rampante di Italo Calvino, o come in altri film come The Swimmer – Un uomo a nudo (1968), o come altre opere tutte legate ad un unico luogo, sono quelli che ti permettono di creare di più. Perché tu sai che hai una sicurezza, che il personaggio non deve scendere mai, come in questo caso. E il resto è tutta idea.
Questo film mi ha fatto pensare all’occhio dell’infanzia. Quando si è bambini si è in certo senso puri. Si ha quel contatto con la fantasia che è molto liberatorio. Questa visione è poi anche lo sguardo che ha il regista, dimmi ti sei approcciato a questa storia anche in questa maniera? Il Guarda in Alto del titolo forse può essere un inno a lasciarsi andare e farsi ispirare?
Assolutamente. Infatti mi piace che il titolo suoni un po’ come un imperativo. “Guarda in alto” perché è lì che succedono le cose più belle. Sicuramente lo sguardo da bambino io ce l’ho e vorrei che tutti vivessero con gli occhi dei bambini, non in maniera retorica perché i bambini sono puri, ma semplicemente perché un po’ di sano non sense nella vita non fa mai male. La vita è già bella seria e complicata, quindi tanto vale prenderla con non sense, perché tutto sembra più interessante e si può ridere anche delle cose brutte che accadono ogni giorno. Quindi vivere con più leggerezza anche i drammi che ci possono essere e accoglierli. Il non sense è come un amico sincero con cui confidarsi.
Adesso l’unica domanda difficile. Ai giovani sceneggiatori come te che consigli dai per affrontare il futuro?
La cosa più importante di tutte per fare un film è l’idea. Questo film è stato prodotto quasi senza far leggere la sceneggiatura, perché comunque l’idea interessava tanto. Piaceva il modo in cui la raccontavamo. Sono anche arrivato con un po’ di tempo a trovare il modo giusto per “venderla”. E quindi soprattutto per un primo film dove non ci sono attori famosi, non ci sono star, l’autore/regista non è un nome che trova chi lo produce così facilmente: l’idea è la cosa più importante. E poi come si pensa di sviluppare l’idea. Quindi trovare soprattutto un’idea originale, forte e sincera che possa raccontare al meglio il film in maniera personale e che non sia una trovata.
Qual è la scena che, a te e Andrea, vi è piaciuta di più scrivere?
Ragionandoci un po’ su, ti posso dire che sicuramente le scene con i personaggi dei nudisti. Questi erano dei personaggi particolari, quindi dovevano essere strani, perché immagina due gemelli, nudisti per scelta, un po’ folli, però dovevano essere realistici. Ce li siamo portati dietro per tante stesure e revisioni, ed erano sempre strani perché cambiavano sempre un po’ d’aspetto, però dovevano in qualche modo far ridere mantenendo però una propria personalità. Forse quei personaggi lì sono stati i più interessanti da scrivere.
(intervista a cura di Orazio Ciancone)