Diceva Checov: “Se una pistola compare in scena, è necessario che spari prima della fine”. The Party, ultima fatica di Sally Potter (Orlando, The Man Who Cried), comincia sotto il segno del drammaturgo russo: Janet, protagonista e padrona di casa, apre il portone armeggiando l’arma e puntandola verso l’ospite che sta entrando.
Una casa nella quale va in scena la “festa” che dà il titolo al film, organizzata per celebrare la nomina di Janet (Kristin Scott Thomas) a ministro-ombra della salute inglese. Attorno a lei si radunano gli amici di una vita: un gruppo di borghesi ed intellettuali che insegnano all’università ed occupano ruoli di rilievo all’interno del mondo della finanza. Lo svelamento di un segreto celato da tempo dal marito di Janet, Bill (Timothy Spall), darà il via ad un litigio fra gli invitati
UN IMPIANTO TEATRALE
Per impostazione The Party è un “film da camera”, come Perfetti Sconosciuti di Genovese o El bar di De la Iglesia: l’azione si svolge in una stanza ed in tempo reale, esattamente come in un opera teatrale. A differenza delle pellicole sopracitate, però, esiste nel film della Potter un grado maggiore di pericolo, dovuto alla comparsa di una pistola già dalla prima scena. È una scelta astuta questa, poiché suggerisce allo spettatore l’assoluta gravità della situazione.
Poi ci sono loro, i personaggi. Magnificamente scritti dalla Potter e ancor meglio interpretati da un gruppo di incedibili attori inglese, provenienti da diverse scuole e generazioni, da Emily Mortimer e Cillian Murphy, da Patricia Clarckson a Cherry Jones. Fra loro spicca “lo straniero”: il tedesco Bruno Ganz. A lui è affidato il personaggio dello “scemo del villaggio”, ovvero Gottfried, un uomo che parla per frasi fatte e si nasconde dietro massime da dietrologo come “Le industrie farmaceutiche pagano i dottori per non curarci e farci comprare più medicinali”. Ci si trova, insomma, a fare i conti con un film che nei primi venti minuti, dei soli settanta di durata, propone trovate geniali, battute divertenti e sagaci, ironia e cattiveria in pieno stile inglese. A sorprendere, a fronte di questo, è la povertà del resto.
LA GESTIONE DELL’INTRECCIO
Quei memorabili venti minuti purtroppo bastano allo spettatore più smaliziato per intuire tutto quel che verrà dopo. In pellicole del genere è fondamentale evitare di svelare troppo e troppo presto, posticipare il disvelamento di segreti e colpi di scena, fare sì che lo spettatore sia disorientato fotogramma dopo fotogramma. Proprio per questo dopo che Timothy Spall pronuncia la sua verità, The Party comincia a spegnersi lentamente, perdendo anche quel senso di pericolo incombente e quella paura di morte che la pistola aveva così bene portato in scena.
Non che gli ultimi cinquanta minuti siano da buttare, tutt’altro. Le gag fra i personaggi continuano a funzionare, regalando verso la fine uno splendido e memorabile scambio di battute triangolare fra Cillian Murphy, Ganz e Spall. Ci si diverte e si ride, pur perdendo interesse verso le sorti dei protagonisti.
In ultima analisi, The Party è un film che necessitava di più respiro, di una durata maggiore. Sono troppi i temi che la Potter inserisce dentro: dal doppio significato del titolo (“party” come festa e come partito), fino al passato dei protagonisti appena abbozzato, passando per il tema della fecondazione assistita, della situazione politica inglese e della satira verso gli accademici moderni. Rinchiudere tutto in settanta minuti vuol dire sacrificare e sacrificare vuol dire perdere diverse occasioni. Fra queste mettiamo anche il fatto che il film sia girato in bianco e nero: una scelta che francamente, più che artistica sembra ruffiana, difficile da comprendere e da apprezzare.
The Party uscirà nelle nostre sale giovedì 8 febbraio, distribuito da Academy Two.