Una delle certezze della serialità televisiva è l’apprezzamento del pubblico nei confronti dei medical drama ovvero quegli show ambientati all’interno di un ospedale. Se il debutto di E.R – Medici in Prima Linea sembra ormai lontanissimo (correva l’anno 1994), nel corso degli ultimi due decenni si sono succedute molte serie TV incentrate sul racconto dei retroscena lavorativi e personali di decine di medici e specializzandi. Dall’umorismo di Scrubs al cinismo di Dr. House, fino ai toni melodrammatici di Grey’s Anatomy, questo particolare genere ha catturato l’affetto di milioni di spettatori e ha analizzato la sanità da diverse angolazioni. Ecco perché, alla notizia dell’arrivo di una nuova serie con dei chirurghi come protagonisti, l’entusiasmo non era certamente alle stelle. Le premesse di The Resident, in onda da noi su Fox Life dal 5 marzo, hanno fatto subito ben sperare: lo show prodotto, tra gli altri, dal regista Antoine Fuqua (Training Day, The Equalizer, Southpaw, I Magnifici 7) vuole infatti puntare i riflettori sul lato oscuro della sanità americana, cercando di rappresentare la realtà di tutti i giorni nelle vere corsie di un ospedale. Un terreno ancora inesplorato quindi, peccato che il risultato sia deludente.
TRE UOMINI (E TRE CARRIERE) A CONFRONTO
Devon Pravesh (Manish Dayal) è un laureato di Harvard pieno di aspettative al suo primo giorno come specializzando nel prestigioso Chastain Park Memorial Hospital di Atlanta, guidato da un chirurgo molto amato e rispettato come Randolph Bell (Bruce Greenwood). L’incontro tra i due (il ragazzo segue il medico più esperto nel corso dei primi giorni di specializzazione) fa scontrare subito Devon con la dura realtà. Qui il giovane conosce Conrad Hawkins (Matt Czuchry), un dottore brillante e del tutto fuori dagli schemi che utilizza metodi anticonvenzionali andando contro le regole. I pazienti lo adorano e i colleghi – anche a causa della sua arroganza – non lo sopportano: tra questi c’è l’infermiera Nicolette (Emily VanCamp, protagonista di Revenge), che da una parte cerca di evitare le avances di Hawkins ma dall’altra cerca di metterlo in buona luce di fronte agli altri membri dello staff. Le manie di protagonismo di Hawkins non si scontrano solo con l’ingenuità e l’inesperienza del nuovo arrivato ma anche con il capo Bell, che fatica ad accettare la sua irriverenza nonostante sia il primo a nascondere con meschinità la propria incapacità ad operare, arrivando anche a minacciare i sottoposti pur di non essere scoperto (non danneggiando in questo modo la sua reputazione di professionista stimato). Una carriera agli inizi, una dal futuro promettente ed una sul viale del tramonto si trovano a condividere un ambiente in cui entrano in gioco non solo la volontà di salvare vite umane ma anche interessi puramente economici e d’immagine, perché l’ospedale negli Stati Uniti è una vera e propria impresa.
ASPETTATIVE TRADITE DA UN PILOT MEDIOCRE
L’obiettivo di mettere sotto la lente d’ingrandimento le falle del sistema sanitario statunitense era un’idea di partenza davvero interessante ma il pilot di The Resident fa acqua da tutte le parti. L’intento di far ruotare la narrazione attorno al confronto-scontro tra tre uomini, che si trovano in momenti diversi della loro carriera, cozza con la scarsa originalità nella costruzione dei protagonisti, che parlano e si comportano in maniera stereotipata annoiando sin dai primi minuti dell’episodio.
«Tutto ciò che pensavi di sapere sulla medicina è sbagliato». Basta una sola frase banale, già sentita innumerevoli volte, per far inciampare The Resident e stupisce il fatto che siano le parole del dott. Hawkins, al quale è stato affidato il ruolo potenzialmente più intrigante per il pubblico grazie all’esperienza maturata dall’interprete in prodotti molto seguiti come Una Mamma per Amica e The Good Wife. È proprio il personaggio di Matt Czuchry a sentire maggiormente sulle sue spalle il peso delle debolezze e della scarsa attenzione ai dettagli della nuova serie Fox. I tatuaggi (palesemente finti) per sottolineare lo spirito “ribelle”, la necessità di apparire come il medico arrogante ma dal cuore d’oro e bravissimo nel suo lavoro sono tutti elementi che contribuiscono a creare un character che non si distingue in nulla dai “colleghi” degli altri medical drama (anzi, non è nemmeno memorabile). Per non parlare poi del suo coinvolgimento in una mezza relazione inutile con la bella e gentile infermiera Nicolette, introdotta solo per fare l’occhiolino a quella fetta di pubblico che cerca il romanticismo in ogni dove a scapito della qualità.
Il pilot di The Resident mostra come un buon soggetto di base non possa mai bastare per mettere in piedi uno show decoroso. La piattezza dei protagonisti, la regia sciatta e l’assenza di un ritmo incalzante fanno sì che la nuova creatura del canale generalista americano non crei il necessario appeal per spiccare nel panorama seriale (nemmeno all’interno del suo genere). L’unico elemento in grado di salvare la prima stagione potrebbe essere quello di spostare l’attenzione sul capo chirurgo interpretato dal bravo Bruce Greenwood, il personaggio sicuramente più negativo ma anche quello che meglio risponde all’intento iniziale degli autori di rivelare un sistema pieno di contraddizioni interne.