Il Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 ospita per un incontro con il pubblico e per onorarla del Premio alla Carriera Laura Morante, regista, sceneggiatrice a attrice italiana fra le più famose del cinema italiano.
La carriera della Morante si è divisa, negli anni, fra teatro, televisione e cinema. Esordì nel 1980 con Giuseppe Bertolucci in Oggetti Smarriti, per poi andare a lavorare con il fratello Bernardo l’anno successivo in La tragedia di un uomo ridicolo. Negli anni ’80 trova grande notorietà grazie ai suoi ruoli indimenticabili nello opere di Nanni Moretti come Bianca e Sogni d’oro; oltre ad un ruolo in Colpire al cuore di Gianni Amelio.
Negli anni successivi lavora con tutti i maggiori registi italiani: Virzì, Gabriele Muccino, Salvatores, Pupi Avati e Sergio Castellitto. Nel 2012 esordisce dietro la telecamera con Ciliegine, al quale fa seguito, nel 2016, Assolo, di cui Laura Morante è anche protagonista.
Nell’incontro con il pubblico di oggi, moderato dalla giornalista Silvia Bizio, ha parlato a tutto tondo della sua carriera, partendo dal teatro e arrivando fino al debutto come regista.
Quanto la Toscana ha influenzato e segnato la tua carriera?
Sono della maremma, di un posto molto meno “chic” di Lucca. Mio padre era di Roma e mia madre del Casentino. La Toscana l’ho frequentata da bambina, però ha rappresentato molto nella mia vita. Mi sono trasferita a Roma per lavorare nel mondo dello spettacolo e ci sono riuscita. Tuttavia, ho ricomprato la mia casa natale in maremma e ci torno spessissimo.
Ci parleresti dei tuoi inizi come ballerina?
Ho cominciato studiando danza come ballerina, sono stata professionista per qualche anno con un senso di inadeguatezza che mi ha accompagnato per tutto il periodo in cui sono stata professionista. Mi sentivo una ballerina piuttosto mediocre, a dir la verità.
La mia coreografa poi mi fece conoscere Carmelo Bene e fui “prestata” a lui. Ovviamente, non rispettò i termini dell’accordo e lavorai molto più di quanto previsto con lui. Fui notata da Bertolucci e cominciò la mia carriera.
Quando è nata la tua passione per il teatro e per il cinema?
Se a questa domanda dovesse rispondere il mio analista, chissà cosa direbbe! All’inizio non mi piaceva per nulla fare l’attrice; feci però amicizia con Laura Betti, che aveva un carattere tremendo. Poi io mi trasferii in Francia e quando lei venne a girare un film con Monicelli mi chiamò e si riaccese la passione.
Chi sono allora i tuoi maestri?
Sono stata molto fortunata, ho lavorato con parecchi registi, sia in Italia che all’estero, veramente incredibili. Loro mi hanno sicuramente lasciato qualcosa.
Recentemente hai lavorato anche con tua figlia
Sono contenta che faccia quello che ama. Avessi dovuto scegliere, avrei scelto qualcos’altro… Non è un mestiere facile, soprattutto per persone che hanno una certa etica, che non sono follemente ambiziose e che non sono arrampicatrici. Adesso sta cominciando a scrivere: ha recentemente concluso un ottimo copione teatrale. Ai miei tempi era più semplice, oggi è realmente complicato.
Può essere molto difficile il mestiere dell’attore: hai avuto dei momenti in cui ti sei domandata “Cosa sto facendo”?
Ho deciso soltanto che mi sarei angosciato in caso di mancanza di denaro. Non ho mai rimpianto di non aver fatto un film; succede. Mi è capitato più di una volta di avere problemi di soldi, senza che nessuno mi potesse dare una mano. È stato difficile, però non ho mai mollato
Come è stato dirigere un film?
Anche come regista non ho deciso io. A me piace molto scrivere e insieme a Danilo Costantini (ex marito della Morante n.d.r.). Abbiamo lavorato a questo trattamento, senza ricevere risposte. Nel frattempo, io stavo girando in Francia con Resnais e un giorno il suo produttore, mentre parlavamo, venne a sapere del copione. Lo lesse, gli piacque e me lo produsse.Cambiammo in sceneggiatura il luogo in cui era ambientato: in Francia, anziché in Italia. Non riuscimmo a trovare un regista e perciò presi io l’incarico. Il secondo film invece l’ho fatto per scelta.
È difficile lavorare come attrice e regista nello stesso film?
No, anzi è molto più facile. Gianni Amelio venne al montaggio e mi disse: non ti far più dirigere da nessuno, ti dirigi molto meglio da sola! Quando sono diretta da altri, invece, tendo a fare degli errori che noto dopo.
Tu hai fatto molto ruoli drammatici, ma hai anche una vena comica
Non mi considero un’attrice comica; mi piacerebbe. Posso essere buffa, ma non comica. Se son ben diretta e se il personaggio mi si addice posso essere buffa. Detto questo: ho sempre adorato la commedia e l’umorismo. Penso che se un attore comico può essere privo di umorismo, uno drammatico lo deve assolutamente avere.
Non ho mai visto una contraddizione, diciamo, fra le due cose. Mi è sempre sembrato che si integrassero bene. Kleist è intriso di umorismo!
Nella commedia si recita con il “ritmo”, mentre nel film drammatico si usano molto più tagli. La commedia è molto più complicata di quanto si pensi. Nella commedia, come nella tragedia, il confine fra finzione è realtà è più labile, più reale. Mi piace di più da un punto di vista etico.
Pensi che tornerai a dirigere su sceneggiature tue o degli altri?
Mi hanno proposto più di una volta di dirigere cose scritte da altri. Ma non me la sento. Ho voglia di esprimermi, non di dirigere cose scritte da altri. Sono cose che mi piace raccontare. Ci vorrebbe una gran sintonia con uno sceneggiatore.
Tu hai lavorato con alcuni dei grandi registi di un’altra generazione e bravissimi registi nuovi. I registi nostrani come li trovi?
La ripresa economica c’è. Una mostra di successo, tuttavia, è una mostra dove entra tanta gente. Non è una ripresa qualitativa. A me interessa che ci sia una grande qualità nella fruizione dell’opera d’arte. Per acquisire il diritto di essere definita così, ha bisogno di creare una comunicazione con lo spettatore. Mi interessa molto il modo in cui le cose vengono fruite.
La crisi più importante, secondo me, dal punto di vista artistico è quella della scrittura. La figura dello sceneggiatore è in grande calo. Il grande livello del passato non è più stato raggiunto. Ci sono centinaia di dialoghi indimenticabili. Esisteva, insomma, un’etica della scrittura. Ci sono molti bravi registi, molti bravi attori e non ci sono più sceneggiatori di quel livello.