In occasione di una nuova uscita estiva in sala di Agadah, abbiamo incontrato il regista e sceneggiatore Alberto Rondalli per parlare del suo peculiare film, liberamente ispirato da Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki
Come si inserisce il suo film in una cornice come il biografilm Festival?
Credo che Agadah possa essere inteso come un film biografico. Il libro da cui è tratto, Manoscritto trovato a Saragozza, è un percorso “di pensiero” che fa il suo autore, il quale mette in scena se stesso e la sua biografia. Jan Potocki nasce intellettuale illuminista e ligio ai doveri scientifici e razionali, per poi diventare un autore e uno studioso di esoterismo e cabalistica. La sua vita finì con un suicidio spettacolare, tipico di un romantico più che di un illuminista. Jan ( Potocki morì nel 1815, poco più che cinquantenne, sparandosi con un proiettile che aveva ricavato da una fragola d’argento incastonata in una teiera ndr )
Probabilmente il suo suicidio è “nascosto” dietro al personaggio di Diego Arvas, uno scrittore che cerca di racchiudere in cento libri tutte le scienze umane. Il fatto che il libro gli verrà mangiato dai topi lo porterà al suicidio. Potocki si accorse che il suo immane sforzo non aveva portato a niente.
In un libro gigantesco come il Manuale, come ha lavorato in fase di sceneggiatura?
Ho scelto storie in relazione ad un aspetto del romanzo: la poliedricità. Volevo che nel film vi fosse la stessa varietà di generi e toni che accompagna il romanzo, selezionando racconti che variassero dall’esoterismo all’erotismo, dalla cabalistica al realismo. In secondo luogo ho scelto una serie di storie che in qualche modo avessero come tema comune l’evoluzione. Ciò che vive il protagonista è in tutto e per tutto una storia di formazione, un viaggio iniziatico nel quale crescerà imbattendosi in diverse avventure. Inoltre, ho cercato di mantenere il tono ironico che pervade tutto il romanzo. Questo si vede in particolare nel segmento del matematico che cerca di raccontare la scienza con i sentimenti.
Come ha il scelto il protagonista, Nahuel Perez?
Abbiamo girato il film prima che Nahuel recitasse in 120 battiti al minuto (film di Robin Campillo presentato a Cannes nel 2017) e quindi ancora non lo conoscevo come attore. Nel romanzo il personaggio di Alfonso, nonostante sia un adulto, viene descritto come un adolescente imberbe. Guardando le foto degli attori che mi avevano gli agenti ho subito notato Nahuel, l’abbiamo provinato ed era perfetto per la parte.
Credo inoltre che Alfonso sia Don Chisciotte prima di realizzare di esserlo. Il legame per me è chiarissimo, anche se non l’ho messo in rilievo. L’arrivo di Alfonso alla fattoria è parente di quello di Don Chisciotte alle locanda.
Spesso nel suo film uso lo scavalcamento di campo e le carrellate. Per quale motivo ha adottato uno stile così ricercato?
Credo che attualmente stiamo usando il 5% delle potenzialità del cinema. Non parlo in termini tecnologici, ma puramente stilistici. Per questo mi piace sperimentare con movimenti di macchina elaborati e fuori dal normale. Inoltre, volevo restituire il gusto barocco del romanzo e dei suoi luoghi.
Inoltre, penso che il cinema si stia attenendo eccessivamente a certi crismi e a certi dettami televisivi dai quali deve uscire. Fare un film significa avere tante possibilità espressive.