Sto Pensando di Finirla Qui (titolo originale I’m Thinking of Ending Things) di Charlie Kaufman è l’adattamento cinematografico dell’omonimo straordinario romanzo dello scrittore canadese Iain Reid. Il film Netflix segna il ritorno del geniale regista e sceneggiatore statunitense, che dietro la macchina da presa ci ha regalato capolavori come Anomalisa e Synecdoche, New York ma che ha anche toccato altissime vette come sceneggiatore di Essere John Malkovich, Il Ladro di Orchidee e Se Mi Lasci Ti Cancello Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Il suo nuovo lavoro, distribuito direttamente in streaming in Italia come nel resto del mondo, conferma la poetica visionaria dell’autore, caratterizzata da un caleidoscopio di rivoli narrativi che si intersecano e compenetrano in una mise en abîme il cui significato non è sempre immediato.
SEGUONO SPOILER E DETTAGLI SULLA TRAMA E IL FINALE DEL FILM
STO PENSANDO DI FINIRLA QUI: LA TRAMA DEL FILM NETFLIX
Segue il riassunto della trama di Sto Pensando di Finirla Qui (I’m Thinking of Ending Things) per come viene presentata nel lungometraggio.
«Sto pensando di finirla qui»: è questa la frase che ripete continuamente nella sua testa Lucy (Jessie Buckley, Chernobyl) mentre viaggia in macchina col suo ragazzo Jake (Jesse Plemons, The Irishman), che dopo solo 6 o 7 settimane dal loro primo appuntamento la sta portando a conoscere i propri genitori. Mentre i due conversano in modo stimolante di fisica, neurologia e poesia, il flusso di pensieri della giovane ci rivela però tutti i suoi dubbi su una relazione che non la convince eppure sta progredendo troppo velocemente. Lucy si sente quasi in trappola, ragion per cui sta pensando insistentemente di porre fine a quella storia sfuggita al suo controllo.
Parallelamente, assistiamo a scene di quotidianità che ritraggono la vita di un anziano bidello (Guy Boyd, The Young Pope), senza alcun legame con i due.
Quando arriviamo a casa dei genitori di Jake, interpretati da Tony Colette (Hereditary) e David Thewlis (Anomalisa), la cena si rivela più inquietante del previsto e un numero crescente di grandi e piccoli dettagli iniziano a confondere Lucy, la cui percezione della realtà diventa sempre più inaffidabile. Il senso di disagio, nella protagonista come nello spettatore, cresce a dismisura fino al momento nel quale la ragazza non ottiene finalmente di essere riaccompagnata a casa. «Sto pensando di finirla qui». Ma parla della storia o della propria vita?
Il teso viaggio in macchina attraverso una tormenta di neve notturna, dopo una strana sosta in una gelateria spettrale che sembra uscita dal passato, termina però nel liceo frequentato in gioventù da Jake. È qui che, in un momento di riconciliazione e intimità, i protagonisti si accorgono di essere spiati dal bidello di cui sopra. Il protagonista lo rincorre quindi nella scuola, e dopo aver atteso a lungo in macchina, la ragazza preoccupata decide di raggiungerlo.
Sarà all’interno di quell’imponente edificio che i protagonisti si perderanno come in un labirinto di specchi che si rivelerà essere la mente di Jake. Jake in realtà è l’anziano bidello e, tra scene di ballo e rappresentazioni teatrali, farà definitivamente i conti con il proprio passato e sarà pronto ad affrontare il crollo definitivo. Sarà pronto a «finirla qui».
DI COSA PARLA DAVVERO STO PENSANDO DI FINIRLA QUI?
Sto Pensando di Finirla Qui (I’m Thinking of Ending Things) è una storia complessa e ingannevole, che offre continui indizi allo spettatore per poi depistarlo. Quello che inizialmente sembra un film sul disagio esistenziale di Lucy, si rivelerà alla fine essere un film sul disagio mentale di Jake, un vecchio bidello che in un turbinoso e febbricitante flusso di coscienza ripensa a tutte le opportunità perse, i bivi e le persone significative della propria esistenza. Il rapporto ostile con i genitori, gli studi abbandonati, le ambizioni mai concretizzate e gli amori solo immaginati compongono infatti un esercito di fantasmi che infestano la vuota esistenza di un vecchio cui rimangono solo un lavoro umile, la solitudine, il rimpianto e il pensiero di porre fine a tutto questo.
Charlie Kaufman ha sempre amato privare lo spettatore di ogni coordinata sicura e trascinarlo nei labirinti della mente umana, ma se i suoi lavori passati mantenevano una struttura gerarchica a fare da mappa del mondo narrativo, Sto Pensando di Finirla Qui diventa un mosaico sbagliato nel quale il tempo e la realtà si frammentano e rimescolano senza un ordine. L’unica direzione che lo spettatore pensa di avere – quella dell’arco narrativo di Lucy – si rivela in realtà essere alla rovescia, giacché solo al termine del film capiremo chi è il vero protagonista: il bidello.
I’M THINKING OF ENDING THINGS: DAL LIBRO AL FILM, TRA SOGNO, HORROR E DRAMMA
L’inversione del protagonista è un espediente narrativo sorprendente e sofisticato, ed è lo stesso che ha fatto la fortuna anche del libro da cui è tratta la pellicola, nella quale le vicende vengono trasposte in modo fedele fino alla fuga nel college. È qui che Kaufman si discosta maggiormente dalla pagina scritta, optando per un finale ancora più visionario e poetico, ibridando il linguaggio che fin lì aveva adottato nella pellicola con il balletto, il musical e l’animazione. Altro elemento che distingue il libro di Iain Reid dal film è la struttura del racconto: i capitoli dell’autore canadese sono infatti spesso preceduti da frammenti di conversazione di due sconosciuti che parlano di un orribile incidente. Solo alla fine del libro, leggendo quelle parti introduttive una dopo l’altra, si avrà chiara la storia d’insieme del bidello.
La regia di Charlie Kaufman snocciola eventi e svolte volutamente prive di un nesso causale, proprio come accadrebbe in un incubo (con un susseguirsi erratico che in un certo qual modo riporta alla mente l’esperienza onirica del Madre! di Darren Aronofsky), ma rispetto ai lavori passati stupisce per uno spiccato talento nel mettere in scena veri e propri momenti horror. La cena dai genitori di Jake infatti non teme confronto con il corrispondente capitolo del libro, un piccolo capolavoro di tensione crescente, e le interpretazioni magistrali di Thewlis e ancor più della Colette non fanno che caricare di sospetto e disagio le inquadrature.
I’M THINKING OF ENDING THINGS È ANCHE UN SORPRENDENTE VIAGGIO NELLA PSICHE FEMMINILE E NEI PENSIERI SUICIDI
Un altro aspetto nel quale I’m Thinking of Ending Thing eccelle è lo script firmato da Kaufman, che pur privo di uno svolgimento lineare riesce a proporre numerosi spunti e temi che riverberano per tutto il metraggio. Uno di questi è quello della psicologia femminile, e in particolare di quel senso di dovere, accondiscendenza, incertezza e dubbiosa autocritica che la società vorrebbe in molti casi imporre all’esser donna. Tanto nel libro quanto nel film – a detta delle stesse lettrici e spettatrici – stupisce come degli uomini abbiano saputo tratteggiare così bene il mondo interiore di Lucy, con la sua fragile irrequietudine.
Nonostante sia il bidello il vero protagonista della storia, rimane il fatto che sia la ragazza a occupare buona parte dello screen time, e ciò permette a Kaufman di giocare con le aspettative dello spettatore e costruire un film nel film. Prima ancora di diventare una storia di rimpianti e delirio mentale, Sto Pensando di Finirla Qui è infatti l’affresco di come appare il mondo a una persona tormentata da pensieri suicidi: una scacchiera ostile e incomprensibile nella quale anche il più banale dei contesti sembra nascondere infelicità, minaccia e alienazione.
Eppure, anche se funestati da un tormento che rende impossibile una storia d’amore minimamente serena, le immagini mentali che vedono protagonista Lucy sono il ritratto di un amore sperato, sognato, idealizzato. Nel libro scopriamo che, dopo quel primo incontro in un locale, Jake in realtà non ha mai avuto il coraggio di chiedere il numero della ragazza e non l’ha mai più rivista. Lucy è la personificazione (mutevole e deteriorata) della perfetta protagonista di uno dei film nei quali si perde nel suo tempo libero il bidello; in questo caso una commedia romantica di Robert Zemeckis. Ecco perché tutto il film – un viaggio nell’immaginario mentale – ha l’aspect ratio 4:3 di un vecchio film.
Divertente aggiungere che la scelta dei titoli di coda che si vedono nel film nasce da un puro caso: il montatore della pellicola, Robert Frazen, aveva usato temporaneamente i titoli di coda di Contact durante la lavorazione dei giornalieri. Il paradossale inserimento del nome del regista di Ritorno al Futuro ha però divertito così tanto Kaufman da arrivare a far parte del montaggio finale.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DI STO PENSANDO DI FINIRLA QUI E DI QUEL FINALE VISIONARIO
Durante il viaggio in macchina all’inizio del film, mentre chiacchiere di circostanza si confondono con dissertazioni su argomenti alti, Jake cita dei versi su «una bellissima donna idealizzata di nome Lucy che muore giovane». Il riferimento è ai cosiddetti Lucy Poems dalle Ballate Liriche di William Wordsworth, anche se il personaggio interpretato da Plemons poi cita Ode – Indizi di Immortalità dalle Memorie della Prima Infanzia di William Wordsworth, componimento del 1807 che celebra nostalgicamente lo sguardo speranzoso della fanciullezza. «C’è stato un tempo nel quale (…)/ la Terra e ogni comune visione / a me parevan / rivestite di luce celeste (…) / Ma quel che vidi, ora non lo scorgo più» recita l’Ode Immortale.
In queste poche parole potremmo riconoscere l’essenza dell’intero spirito di Sto Pensando di Finirla Qui (I’m Thinking of Ending Things), che di fatto è un lungo sguardo confuso e intriso di rimpianto a un passato mai avvenuto. Nonostante la grande cultura e il grande potenziale, il complesso bagaglio vitale del protagonista lo ha portato a girare a vuoto fino ad annullarsi. In una scena verso la fine del secondo atto del film, dopo aver parlato di Una Moglie (film del 1974 di John Cassavetes disponibile su Prime Video che racconta di una coppia che solo insieme riesce ad affrontare e superare un crollo nervoso della donna del titolo), in un commovente sfogo affidato alle parole del sé giovane, riassume tutta l’amarezza e disillusione di cui è preda: «È tutta una bugia! Che andrà meglio; che non è mai troppo tardi; che Dio ha un piano per te; che l’età è solo un numero; che è sempre più buio prima dell’alba; che dietro a ogni nuvola c’è un maledetto raggio di sole; che c’è qualcuno per tutti noi e che Dio non ti dà più di quanto puoi sopportare».
È con questo stato d’animo che l’anziano Jake, «un porco mangiato dai vermi», ripensa alla sua vita. Nel finale del film, quando ormai la finzione si è rivelata in tutta la sua consapevolezza (tutti i personaggi appaiono in un teatro artificiosamente invecchiati da un trucco scenico di quart’ordine), il protagonista trova la forza per un ultimo disperato atto di speranza. D’altronde «non è male quando la smetti di provare pena per te stesso. (…) È stata solo una questione di fortuna». Dopo aver ricevuto un immaginario premio Nobel, Jake infatti inizia a interpretare la canzone Stanza Solitaria tratta dal musical Oklahoma!, nella quale il personaggio di Jud Fry giura che si lascerà alle spalle la sua vita di stenti e che troverà l’amore della sua vita. Nonostante sia troppo tardi, proprio in punto di morte Jake ha ritrovato una volontà di riscatto nonché quell’illusoria speranza della giovinezza celebrata da Wordsworth e, come nei versi dell’Ode Immortale, si spegne «rivestito di una luce celeste» dissolvendosi nell’azzurro.
UN FILM CHE È POESIA PURA E CHE ESISTE SOLO GRAZIE A NETFLIX
In un momento nel quale probabilmente nessuno studio al mondo finanzierebbe per l’uscita in sala un film arthouse come Sto Pensando di Finirla Qui (I’m Thinking of Ending Things) – che rimane per la maggior parte del pubblico un prodotto estremamente ostico – Charlie Kaufman rivendica la sua posizione di autore vero, di creatore di storie per il quale l’urgenza artistica ha la meglio su ogni compromesso. Lo sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind si conferma un artista capace di asservire la celluloide alla poesia, toccando vette di altissimo cinema, e pertanto la nostra più totale gratitudine non può che andare al coraggio di Netflix, senza il quale non avremmo probabilmente mai visto un film del genere. Per ricorrere a una citazione del film, possiamo concludere ricordando a noi stessi che «il mondo è più grande dell’interno della nostra testa», ma se per vivere un’esperienza del genere dobbiamo perderci nei labirinti della mente, non possiamo che farlo con commossa e malinconica gioia.