Pari di Siamak Etemadi, in concorso al Trieste Film Festival 2021 dopo il debutto alla Berlinale 2020 nella sezione Panorama, è il quarto lungometraggio del regista e sceneggiatore iraniano. Nel film, la sorprendente Melika Forountan è Pari, una madre iraniana che, insieme al marito, si imbatte in un odisseico viaggio in Grecia alla ricerca di Babak, il figlio scomparso.
PARI DI ETEMADI, FRA INCOMUNICABILITÁ E RICERCA DI SÉ NEI SOBBORGHI DI ATENE
Pari, già dalle prime inquadrature, prospetta un viaggio che ha il valore di una sospensione esistenziale. L’idea dello script si esplica nel senso di una ricerca che passa dall’incontro interculturale. Così, Etemadi fa dell’incomunicabilità il suo linguaggio di regia in uno scambio silenzioso tra le forme dell’èthos. Il meccanismo narrativo, messo in moto dalla ricerca di Babak, diventa l’espediente che permette di sviluppare percorsi paralleli di perdita e riconquista del Sé nell’incontro con la diversità. Pari, allo stesso tempo, mette in scena il trauma materno della perdita, mostrando un processo di scoperta dell’alterità interna al nucleo famigliare. I legami di fiducia, ancor di più obbligati dal culturale di appartenenza, sono posti in crisi di fronte alla verità di un tradimento delle aspettative genitoriali. Tutti temi che emergono da una storia ambientata nei sobborghi di una Grecia contraltare della classicità.
PARI: UN FILM SULLE LINEE TEMPORALI DELLA FEDE, DEL TRADIMENTO E DELLA RICONQUISTA
Nel film di Etemadi, lo sviluppo narrativo si snoda su una triplice linea temporale: quella del presente, quella del tempo vissuto nella fiducia e quello nel tradimento. Quest’ultima forma della temporalità, rubata, da metabolizzare e motivare, è la spinta esistenziale che muove l’interiorità traumatizzata della protagonista. L’altalenanza ideale-reale della relazione affettiva contraddistingue Pari, in cui Etemadi riconfigura i principi di attaccamento e perdita. Lo smarrimento identitario della protagonista nel film è contemporaneamente individuale e collettivo. L’auto-riflessione e l’emotività di Pari sono il vero vissuto che contrasta con la razionalità del marito. Etemadi veicola un insieme di informazioni implicite che confermano lo stereotipo e il senso dell’oppressione delle donne iraniane. In Pari, questo ruolo socialmente sottodeterminato viene ricontestualizzato, offrendo un’esperienza di liberazione in cui, per una paradossale inversione, è la madre a ripercorrere le orme del figlio.
PARI È UN FILM SUL VALORE VINCOLANTE DELL’ETHOS E SUL RISCATTO MORALE
La figura assente di Babak diventa espressione della volontà materna del riscatto. Nel suo percorso di liberazione e riscoperta, Pari si sveste letteralmente dell’abito. In varie sequenze e in concomitanza a determinate esperienze-limite, la protagonista perde, pezzo dopo pezzo, il suo chador. Il concetto-immagine dello svestimento va a coincidere con un percorso di riconfigurazione dell’èthos di appartenenza. Proprio sulla complessità etimologica di questo lemma greco (èthos) – in cui dimora, costume e comportamento si mescolano semanticamente – Etemadi costruisce la possibilità di una svolta morale.
ETEMADI AFFRONTA IL TEMA DELLA LIBERTÁ COME ESPERIENZA DELL’INIZIO
Pari è costretta a crescere. Il rimando simbolico, quasi dantesco, del cane come paura e sbarramento viene ripensata nel suo superamento. Allo stesso modo, il fuoco, il centro vivo della sofferenza e dell’abbassamento del Sé, diventa essenziale per il processo di autocoscienza in cui la fine coincide con un inizio riscoperto, con una rinascita. Pari è dunque un film sulla libertà come cominciamento, come creazione, come sradicamento. Su questo vasto campo tematico si muove l’occhio della regia. Di quella libertà ne osserva e svela le intrinseche sofferenze, effetto immediato del distacco.
PARI: DALLA SOSPENSIONE ALLA LIBERAZIONE
Con lo stesso stato di sospensione della sequenza iniziale si chiude Pari: dal distacco della nascita alla ri-nascita. Etemadi sa raccontare una storia che ha il sapore dell’universale: senza tempo, senza spazio. Interiorità, sofferenza, sobborghi, incontri, incomunicabilità sono gli ingredienti di base. Tuttavia, il regista iraniano trova nel confronto e nel riconoscimento del dolore reciproco l’elemento risolutivo del suo script. In una dinamica confessionale conclusiva dal sapore catartico c’è il riscatto etico ed emotivo di Pari. Quest’ultima, nella stessa sospensione con cui veniva introdotta, riesce a liberarsi dalla costrizione dell’attaccamento e così da una obsoleta forma del Sè. Nella complessità del relativismo etico, nelle prospettive morali che Etemadi contrappone grazie all’uso dell’immagine, a vincere è il senso del riscatto personale, una vocazione universale alla cura di se stessi che supera ogni consuetudine e visione storico-costrittiva della morale.