Sean Baker si è ritagliato negli anni un ruolo sempre più di primo piano nel panorama del cinema indipendente americano. Dall’innovativo Tangerine (film girato interamente con un iPhone) fino allo splendido Un Sogno Chiamato Florida, il regista e sceneggiatore statunitense è diventato un punto di riferimento per i cinefili di tutto il mondo. Red Rocket, presentato all’ultimo Festival di Cannes e uscito nelle nostre sale con Universal il 3 marzo 2022, è un altro eccellente capitolo della filmografia di un autore dallo sguardo estremamente lucido e peculiare sugli USA.
LA TRAMA DI RED ROCKET: UN EX PORNOATTORE RITORNA NEL LUOGO DOVE È CRESCIUTO
Red Rocket racconta la storia di Mikey Saber (Simon Rex), un ex pornodivo che dopo tanti anni torna nella sua città d’origine, Texas City, dove però non viene accolto in maniera entusiastica. Essendo senza soldi e senza casa, torna a vivere con la ex moglie e la madre di lei. Mentre cercherà di guadagnarsi da vivere con qualche espediente, incontrerà la giovane Strawberry (Suzanna Son), ragazza disinibita con cui potrebbe valere la pena di costruire un nuovo inizio.
RED ROCKET: IL SIGNIFICATO DIETRO LA DEFINITIVA MATURAZIONE DI SEAN BAKER
Arrivato al settimo lungometraggio per il grande schermo, Sean Baker con Red Rocket realizza il suo lavoro più complesso e maturo. Forte dell’apprezzamento da parte di pubblico e critica di Un Sogno Chiamato Florida, il cineasta statunitense non solo prosegue nel suo personale percorso artistico di racconto del sottoproletariato USA, ma lo fa in modo ancor più provocatorio rispetto al recente passato.
In Red Rocket il suo linguaggio di macchina e la sua scrittura, unici e riconoscibili, si fanno più raffinati. La capacità del regista di trasformare vicende di reietti ed emarginati in favole urbane, che fanno del contrasto tra bellezza e squallore il loro punto di forza, raggiunge in questa occasione livelli degni di nota nella forma e nella sostanza. Per un film che dura più di due ore è difficile riuscire a mantenere l’attenzione sempre costante ma l’autore di Tangerine, attraverso una costruzione narrativa coerente e bilanciata tra commedia e dramma, ci porta in un microcosmo che, nonostante i numerosi problemi al suo interno, non vorremmo mai lasciare per la grande umanità dei suoi personaggi.
Per fare ciò occorrono gli interpreti giusti e Baker, che nel corso della sua carriera ha dimostrato di saper fare ottime scelte di casting, anche in Red Rocket non fallisce: prendere un attore semi-sconosciuto come Simon Rex e renderlo un protagonista carismatico e sfaccettato non è da tutti (lo discorso vale anche per tutto il supporting cast).
LA SPIEGAZIONE DEL PERCHÉ RED ROCKET È UN FILM IN CONTRO-TENDENZA
Il cinema americano, compreso quello indie, tende sempre più ad appiattirsi nelle tematiche e nel tono sul neo-puritanesimo imperante. La fondamentale importanza di una nuova sensibilità inclusiva è infatti da lungo sfociata – complice la cancel culture – in una caccia alle streghe che fa del politicamente scorretto un terreno minato capace di distruggere una carriera. Il risultato è un panorama a tinte tenui in cui nessuno si senta offeso e in cui non trovi spazio l’empatia con personaggi in chiaroscuro.
Sean Baker, pur essendo notoriamente un autore dalla visione progressista, qui si arroga fortunatamente il diritto di sottrarsi a questa messa cantata e, grazie anche al sostegno di una casa di produzione e distribuzione libera e prestigiosa come la A24, tira dritto per la sua strada. Finisce così per imperniare la storia su un personaggio che è agli antipodi dell’attuale narrazione cinematografica USA (un maschio bianco eterosessuale e manipolatore) senza demonizzarlo, giungendo al suo obiettivo primario di scattare una fotografia realistica dell’America più profonda in cui non si erga a giudice dei suoi protagonisti.
Se da un certo punto di vista Baker è sempre di più una voce fuori dal coro (probabilmente non è un caso che il film non sia stato minimamente considerato dall’Academy per gli Oscar 2022), dall’altra Red Rocket è la dimostrazione di come, per fare grande cinema, un autore debba necessariamente avere una visione artistica coerente e scevra da condizionamenti esterni.