Il bello di Netflix è la possibilità di avere immediatamente a disposizione l’intera stagione di una nuova serie tv, dando così la possibilità al pubblico sempre più affamato di prodotti seriali, di seguire molti più show rispetto ai canali tradizionali. La fruizione così veloce ha probabilmente comportato un cambiamento nella modalità stessa di narrazione, creando però il paradosso per cui più siamo vicini a qualcosa e più ce ne sentiamo lontani. È il caso di GirlBoss, liberamente ispirato alla omonima autobiografia della creatrice e fondatrice del sito Nasty Gal, dedicato alla vendita di abiti vintage. La serie racconta come Sophia Marlowe (Britt Robertson), ragazza ribelle che non sopporta lavori da subordinata, sia riuscita a creare dal nulla e senza conoscenze in campo economico, un enorme business, punto di ritrovo di appassionate di moda, prima su eBay e poi tramite un sito esclusivo. L’amica Annie (Ellie Reed) e il fidanzato Shane (Johnny Simmons) saranno al suo fianco, supportandola nelle discese e, soprattutto, sopportandola nei repentini cambi d’umore e attacchi di egoismo.
Il personaggio di Sophia che ne esce fuori è proprio quello che sembra: una ragazzina scontrosa e viziata, ribelle ma non rivoluzionaria, in cerca di attenzioni per via di una madre assente e un padre che non ha fiducia in lei, ma incapace di darne altrettante. Nonostante Britt Robertson dimostri un grande talento nei continui cambi di registro, tutti dediti a dipingere un personaggio che si barcamena tra l’eccitazione della sfida e il tormento per la vita adulta che incombe, la sua Sophia è vittima indiscussa di uno script che non riesce a tenere il livello sempre alto e inciampa proprio dove dovrebbe decollare. Ecco perché, forse, sarebbe stato preferibile assistere a meno episodi (13 in tutto), ma più lunghi e più curati. La velocità della narrazione ha così finito per sacrificare la maggior parte dei personaggi che avrebbero invece meritato un posto di maggiore rilievo. Annie su tutti, è un personaggio estremamente sfaccettato che ha goduto quasi di un intera puntata intesa a raccontare la nascita dell’amicizia con Sophia e la loro frequentazione nel corso degli anni. Lei più di tutti ha una reale crescita interiore durante la stagione, al contrario della protagonista che fino all’ultima puntata non abbandona l’atteggiamento adolescenziale di rifiuto nei confronti delle responsabilità, o come Shane che resta un musicista quasi dilettante e in continua lotta con le relazioni stabili. Tuttavia, la serie non le regala un vero innalzamento lasciandola sullo sfondo delle compagnie di Sophia.
Allo stesso modo non viene scandagliato il rapporto tra Sophia e il padre (Dean Norris), preoccupato per il futuro della ragazza che effettivamente non gli ha mai dato modo di donarle fiducia e in cerca di un affetto che non riesce a esternare oltre che ricevere. Ma proprio quando la figlia dimostra di essere una donna in carriera, Jay Marlowe non fa passi avanti, sparendo completamente dalla serie e lasciando il vuoto di un presenza che Sophia cerca disperatamente.
Ma è anche vero che lo show è godibilissimo ad una prima visione: l’ideatrice della serie Kay Cannon è riuscita a confezionare un prodotto esteticamente bello, dai colori saturi e allegri, dalla regia movimentata e perfettamente accompagnata da musiche azzeccate. Non mancano poi siparietti divertenti e rimandi alla cultura pop degli anni 2000: indimenticabile la citazione della morte di Marissa di The O.C.,uno dei momenti più drammatici per gli appassionati della serie, paragonata alla consegna piena di imprevisti di un abito da sposa, che altrimenti le sarebbe costata una cattiva recensione su eBay.
Manca quindi la giusta distanza tra la storia e lo spettatore che in questo modo non ha il tempo di capire fino in fondo i personaggi, di comprenderli e di prenderne le parti. Se la serie ha voluto raccontare “come diventare adulti senza essere annoiati”, l’esperimento è riuscito, ma per entrare veramente nel cuore dello spettatore, di Netflix soprattutto, affamato e in continuo consumo di show, la cura allo script deve essere inappuntabile.
Girlboss: su Netflix il business degli abiti vintage (recensione della serie)
Di Elena Pisa
Britt Robertson è una ragazza ribelle e viziata che riesce a creare dal nulla un piccolo impero economico costruito sulla vendita di abiti usati.