Ci aspettavamo una lotta all’ultimo sangue e non siamo rimasti delusi: dopo la première di febbraio, la serie del canale premium cable americano Showtime Billions (andata in onda qui in Italia su Sky Atlantic) ha alzato in questa seconda stagione l’asticella della sfida tra i due protagonisti, il magnate della finanza Bobby Axelrod e il procuratore distrettuale Chuck Rhoades, portandola ad un nuovo livello in cui ormai nessuno dei contendenti sembra essere al sicuro.
Quest’anno è Chuck ad avere la meglio sul miliardario, messo alle strette da un’inchiesta giudiziaria.
Chuck (Paul Giamatti) è ad un passo dal perdere il confronto con Bobby (Damian Lewis), proprietario di uno dei fondi più potenti di tutta Wall Street ma, grazie ad una brillante strategia e all’intercessione della moglie Wendy (Maggie Siff), il finanziere molla momentaneamente la presa sul procuratore, che esce da una situazione quasi disperata; questo permette a Rhoades di rifiatare e prepararsi al contrattacco: il nostro “eroe” infatti decide di puntare alla carica di Governatore e prepara un piano elaboratissimo per incriminare Axelrod.
Rispetto alla prima stagione Billions entra nel vivo ma ancora non riesce a competere con le top series.
E’ necessario fare una premessa: Billions è un prodotto apprezzato dal pubblico americano; in questi due anni lo show è riuscito ad attrarre un nocciolo duro di fan affezionati ed è per questo motivo che il network via cavo continua a puntare sulla creatura capitanata da Brian Koppelman e David Levien (come dimostra l’annuncio del rinnovo per una terza stagione due mesi prima del season finale). Indubbiamente molti sono gli elementi che rendono Billions un prodotto commercialmente vincente: non ha i tempi dilatati di molte serie attualmente in onda (il ritmo è sempre frenetico, un pò come a Wall Street) e questa caratteristica aiuta a non perdere audience; ha dalla sua due personaggi estremamente carismatici, interpretati da un paio di attori di grandissimo spessore come Paul Giamatti e Damian Lewis; può vantare una gestione narrativa oculata da parte del suo team di autori (per quanto riguarda soprattutto l’utilizzo dei plot twist e dei cliffhanger). Le peculiarità appena elencate, in linea teorica, porterebbero a definire Billions una serie importante nel panorama seriale americano; però aleggia sempre quella strana sensazione, dopo la visione di ogni puntata, di trovarci di fronte ad un prodotto a cui manca quel qualcosa in più per fare definitivamente il salto di qualità. Quali sono le sue criticità maggiori? Essenzialmente due: un pattern ormai consolidato (e prevedibile) nella concatenazione degli eventi e, soprattutto, l’incapacità dei suoi characters nel coinvolgere emotivamente lo spettatore. Riguardo al primo punto, ormai è chiaro ciò che hanno in mente Levien e Koppelman, incentrare lo show sul conflitto perenne tra Chuck e Bobby mettendo da parte tutto il resto. In pratica è stato riproposto lo stesso copione dello scorso anno, a parti invertite: Bobby colpisce duro Chuck, che riesce però a rialzarsi e rifilare un “gancio” da potenziale K.O. al suo avversario (con ogni probabilità Axe reagirà e la sua vendetta sarà il leitmotiv della terza stagione); questo canovaccio purtroppo non permette al prodotto Showtime di evolversi e, alla lunga, il rischio di deludere in futuro anche il fanboy più fedele è dietro l’angolo. Altro punto critico è che Billions, nonostante tratteggi characters realistici (parliamo sempre di soggetti che frequentano un mondo particolarissimo come quello dell’alta finanza), racconta la storia di una categoria di individui in cui ci si può solo parzialmente rispecchiare. Qual è la grande forza di opere seriali imprescindibili come The Americans e Better Call Saul, tra le altre cose? Quella di “costringere” il pubblico ad empatizzare con i loro personaggi, facendo leva sul lato emozionale. Cosa che in Billions non succede praticamente mai perché le azioni dei protagonisti non portano a conseguenze realmente dolorose né per loro stessi né per chi gli sta vicino (forse solo nell’ultimo episodio qualcosa sembra essere cambiato ma non in maniera drastica). Per spiegare bene il concetto, facciamo riferimento alla puntata più importante della stagione (e, forse, dell’intera serie) ovvero la 2×11, Golden Frog Time: questa adrenalinica ora di televisione poteva veramente segnare una svolta visto che per la prima volta in assoluto il procuratore rischia di veder distrutta la propria vita e quella dei suoi cari per colpa delle impietose leggi del turbocapitalismo (si trova infatti coinvolto in un’operazione finanziaria molto pericolosa); questo sarebbe stato, per lo show, un passo in avanti coraggioso, di grande discontinuità rispetto al passato ma, puntualmente, Koppelman e Levien scelgono la soluzione più ruffiana rappresentando il tutto come una precisa tattica di Rhoades per ingannare Axelrod, opzione narrativa peraltro molto forzata perché per quanto possa odiare visceralmente Bobby è molto improbabile che un uomo risoluto come Chuck metta in gioco il suo lavoro, la sua futura carriera politica e il suo patrimonio solo per arrestare il magnate.
E’ giusto dire che sin dal pilot il taglio dato dagli showrunner a Billions era quello di un prodotto che puntava più all’intrattenimento che alla critica sociale ma è anche vero che da una rete come Showtime, network che si può permettere libertà che la maggioranza dei canali americani può solo sognarsi, ci aspettiamo sempre grandi cose e con i tempi che corrono (soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump) sarebbe senza dubbio una scelta audace smitizzare per una volta (invece di renderlo sexy) quell’ambiente finanziario WASP che, dieci anni or sono, ha destabilizzato l’intero mondo con i suoi deliri di onnipotenza.