Dopo una lunga carriera politica Walter Veltroni sembra ormai determinato a coltivare la passione che lo spinse a diplomarsi nel 1973 all’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione e così, seguendo le orme del padre Vittorio (telecronista e sceneggiatore), prosegue nell’ambito cinematografico firmando la quarta pellicola in tre anni, Indizi di Felicità, documentario il cui titolo risulta piuttosto autosplicativo.
Dopo l’ottimo esordio di Quando C’era Berlinguer (2014), i cui contenuti ne fanno un vero punto di raccordo tra le due parti della carriera di Veltroni, era stato I bambini sanno (2015) a chiarire come una dichiarazione d’intenti la poetica del Veltroni documentarista: un misto di idee dalla grande intensità emozionale condite però da un indigeribile buonismo che aveva il sapore dei salotti buoni di Gramellini o dei paragrafi nazionalpopolari di Fabio Volo.
Archiviata l’esperienza corale di Milano 2015 (2015) l’ex politico ci riprova e confeziona un documentario che dovrebbe parlare di felicità e, sorprendentemente, racconta perlopiù il dolore.
Con grande stupore, l’inizio del film è profondamente sconvolgente e perturbante.
Indizi di felicità stupisce sin dalle sue prime scene, in cui una lunga parentesi – priva di ogni censura e per questo estremamente perturbante – sconvolge lo spettatore mostrando un’apparentemente infinita serie di scene reali di violenza e morte. Ripercorriamo così la maggior parte degli episodi di cronaca nera, e non solo, che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni, in un tour de force capace di creare un profondissimo disagio anche nello spettatore più imperturbabile. L’intento inaspettato di Veltroni è chiaro: scioccare la sala al fine di accantonare ogni intento retorico. Se la felicità è l’oggetto della ricerca del regista, il messaggio evidente sin dall’inizio è che si tratta di una ricerca tutt’altro che facile, una tensione verso qualcosa di bello che emerge dal dolore come esperienza comune e collettiva. In tal senso l’immagine di viva speranza che conclude l’interminabile serie di drammi crudamente catalogati dall’apertura del film arriva come una manna dal cielo, un sospiro di sollievo che dà ossigeno allo spettatore il cui profondo disagio si stava trasformando in un malessere quasi fisico. Da lì parte il vero nucleo del film.
Una serie di interviste a persone più o meno comuni, cui Veltroni si limita a fare delle domande ben ponderate, costituisce la colonna portante di un film emozionante e perlopiù non retorico.
A dispetto dei timori di chi scrive, infatti, la quasi totalità della pellicola si rivela sorprendentemente scevra dalla retorica spicciola cui si presterebbe il tema, e mentre numerose storie di vita si alternano a establishing shot il cui scopo è raccordare le varie testimonianze, è evidente che l’intento di Veltroni è quello di far emergere dalle parole degli intervistati la felicità come un meraviglioso contrasto, una bellezza inaspettata che sembra sempre e inevitabilmente dover essere misurata tramite il suo contrario, messa in relazione a dolori e sconfitte che la precedono e la seguono.
Le testimonianze degli intervistati, spesso di rara intensità, sono tanto cariche di emozioni contrastanti e di conflitti interni che il film finisce per rivelarsi un racconto non solo sulla speranza, ma anche sulla paura e il rimpianto.
Indizi di Felicità mette a disagio per la sua scelta di parlare apertamente delle emozioni più forti, una volontà la cui esplicita chiarezza coglie lo spettatore impreparato ma lo trascina anche in un’esperienza catartica che lo costringe a pesare la propria vita sulle parole degli intervistati.
La felicità, ammesso che esista, assume un’infinità di forme ma in linea di massima è un momento fugace il cui ricordo coltiveremo per anni, un consiglio amorevole che ci darà forza nei momenti più duri o un punto di riferimento già grande della nostra stessa vita, con cui relativizzare i nostri affanni.
Chiarito che la pellicola rappresenta una tempesta d’emozioni che travolgerà e toccherà nel profondo anche lo spettatore più arido, per questo assolutamente meritevole di visione, va detto che Veltroni non sa quando fermarsi e, dopo aver confezionato un documentario quasi perfetto, sembra volersi affrettare in chiusura a inondare Indizi di Felicità di tutto quel qualunquismo da cui era meravigliosamente riuscito a tenersi lontano.
A un quarto d’ora dal finale, quando sembrerebbe ormai raggiunto un equilibrio perfetto, uno tsunami di retorica e buonismo travolge la sala trasformando il film in qualcosa di stucchevole.
Sarebbe bastato fermarsi prima, anche perché verso la fine il metraggio di Indizi di Felicità inizia a rivelarsi relativamente lungo, portando a pensare che un paio di contributi sarebbero anche potuti finire sul pavimento della sala di montaggio. E invece no, la mano di Veltroni vuole farsi più evidente e così quell’apprezzabilissima galleria di personaggi che tanto ricordava i ritratti degli Italiani firmati dalla RAI degli anni sessanta, finisce per proporre un paio di idee tanto kitsch da far spazientire chi fino a quel punto aveva – inaspettatamente – apprezzato il lavoro di Veltroni.
La presenza un po’ troppo predominante di testimonianze legate in qualche modo a Cristianesimo o Ebraismo sarebbe in realtà già potuta risultare parzialmente indigesta, ma considerata la vicenda biografica di Veltroni (nipote di un ambasciatore jugoslavo presso la Santa Sede che salvò centinaia di ebrei durante la guerra) e considerato quanto la prospettiva ultraterrena abbia un ruolo importante nella ricerca della felicità di molti, si poteva operare una certa indulgenza. D’altronde per lo spettatore medio potrebbe risultare più indisponente una certa estrazione radical chic di molti degli intervistati, i cui contributi finiscono in alcuni casi per scadere in un’autonarrazione forse non troppo sincera.
Il problema principale si manifesta in realtà quando, a uno stratificarsi ormai troppo ricco di emozioni e di interviste, il regista sente il bisogno di aggiungere immagini in qualche modo ‘simboliche’. Che si tratti di una manciata di individui a caso che balla latino americano in un capannone, con lunghe luci radenti buttate lì a caso e una musica commovente in sottofondo, o il sorriso in primissimo piano di un neonato mostrato ex abrupto a simboleggiare il futuro e la speranza, Veltroni snocciola delle scelte ingiustificabili con le quali si impegna con tutto se stesso a vanificare l’egregio lavoro fin lì svolto.
In conclusione Indizi di Felicità è un documentario sorprendentemente intenso e ben riuscito, capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore come pochi altri prodotti riescono a fare; un campionario di varia umanità che sembra volerci ricordare i mille affanni della vita e invitarci a dare peso a ciò che veramente conta. La missione è perlopiù riuscita, ma se volete dare peso al vostro tempo, uscite un quarto d’ora prima dalla sala. Troverete Indizi di Felicità al cinema per una release limitata il 22, 23 e 24 maggio.