Baz Luhrmann è uno di quegli autori che nell’industria cinematografica trasformano in oro tutto ciò che toccano: le sue pellicole, visivamente riconoscibili ma al tempo stesso estremamente commerciali, attirano da sempre gente al cinema, con risultati a volte straordinari (come è successo con Moulin Rouge! e Il Grande Gatsby); nel 2015, proprio per questo motivo, Netflix commissiona al regista australiano un progetto a cui Luhrmann stava lavorando da una decina d’anni, una “mitica saga di come una New York sull’orlo della bancarotta abbia dato i natali all’hip-hop, al punk e alla disco”. I risultati però non sono stati quelli sperati, visto che The Get Down, la costosissima serie che sarebbe dovuta diventare uno dei titoli di punta della piattaforma streaming più famosa al mondo, è stata appena cancellata dopo solo una stagione.
The Get Down è una via di mezzo tra La Febbre del Sabato Sera e Saranno Famosi in chiave contemporanea.
Lo show racconta la storia di Zeke (Justice Smith), un ragazzo di origine portoricana del Bronx che si trova di fronte a una scelta importante: abbandonare la strada per iscriversi a un college prestigioso oppure seguire il suo sogno – quello di diventare un artista hip-hop – assieme ai suoi amici, capitanati dal piccolo spacciatore Shaolin Fantastic (Shameik Moore). Zeke ha inoltre una grande cotta per Mylene (Herizen Guardiola), una ragazza che vuole diventare una grande star della disco music, ma suo padre, il predicatore Ramon (Giancarlo Esposito), si mette di traverso ed è solo grazie all’appoggio dello zio Francisco (Jimmy Smits) che Mylene riuscirà a incidere il suo primo singolo.
La serie di Netflix è un prodotto di Baz Luhrmann al 100%.
Nelle undici puntate che compongono la prima stagione (suddivisa in due parti, cosa inusuale per il web service di Los Gatos) abbiamo assistito a quella che potrebbe essere definita la summa artistica del cineasta di Sydney: il melò e il musical sono i generi predominanti all’interno di The Get Down, un’opera dichiaratamente pop che, attraverso il racconto di una storia di amore e amicizia, ritrae un momento storico molto particolare come quello degli anni Settanta, pieno di energia e di cambiamenti epocali. Ambientata nel quartiere storicamente più malfamato di New York, la serie, pur sfiorando temi importanti come il razzismo, il degrado delle periferie e l’ingiustizia che penalizza le minoranze, non ha la profondità tipica di molti period drama andati in onda in questi magnifici anni della Golden Age della televisione perché il suo obiettivo primario è intrattenere: con il suo peculiare stile (messa in scena grandiosa, scenografie curatissime, movimenti di macchina esagerati e montaggio frenetico), Luhrmann ha confezionato un prodotto sulla carta ideale per essere apprezzato da un pubblico generalista (poi ritorneremo su questo punto), dal ritmo perfetto e con un cast incredibilmente assortito tra giovani attori e vecchie glorie come Esposito e Smits. Certo, i difetti non mancano (per essere il South Bronx è tutto troppo innocuo, patinato e pulito) ma tutto ciò rientra nella poetica del regista australiano che, ancora una volta, dimostra di essere uno degli autori più rilevanti degli ultimi vent’anni.
Purtroppo gli spettatori non sono rimasti conquistati da The Get Down, causando di fatto la cancellazione dello show.
Netflix in questi anni ha resuscitato molte serie famose (Black Mirror, The Killing e Arrested Development sono gli esempi più rilevanti); tuttavia, da un pò di tempo a questa parte, ci troviamo ad assistere ad una inversione di tendenza: la cancellazione di Marco Polo nel dicembre dello scorso anno (dopo due stagioni) e la chiusura anticipata di Bloodline già avevano lanciato segnali in tal senso ma l’uscita di scena di The Get Down conferma una svolta epocale per l’azienda guidata da Reed Hastings. La domanda giusta da fare è questa: perchè The Get Down è stata cancellata? Perché, a fronte degli ingenti costi, non ha attirato sufficiente pubblico. Lo show, nelle intenzioni del web service, doveva essere uno dei fiori all’occhiello del servizio di streaming (al pari di Narcos, House Of Cards e Orange Is The New Black) e sembrava avere alla vigilia tutte le carte in regola per diventare una nuova hit, ma qualcosa è andato evidentemente storto. Oltre alla maledizione che ormai colpisce i period drama ambientati negli anni Settanta (lo scorso anno anche la serie HBO Vinyl è stata cancellata per gli stessi motivi di The Get Down) c’è stato indubbiamente un errore da parte di Netflix per quanto riguarda il rilascio della prima stagione in due tranches: se già la prima parte, rilasciata lo scorso agosto, non ha fatto impazzire gli spettatori (secondo Symphony Advanced Media ha totalizzato in un mese un quinto degli ascolti della quarta stagione di Orange Is The New Black), quest’anno The Get Down è stato considerato ancora meno, penalizzato dallo scarso hype e dal grande successo che altri titoli della piattaforma hanno avuto in questi mesi (uno su tutti, 13 Reasons Why). Se qualche anno fa il web service di Los Gatos poteva permettersi di tenere in vita prodotti costosissimi senza fare troppa attenzione all’audience (come Marco Polo, che ha resistito all’impatto della prima annata), ora la questione si è fatta più complicata dopo l’aggressiva strategia che Netflix sta adottando per far crescere la sua offerta di produzioni originali (che comprende, non dimentichiamolo, anche i film). Certo, bisogna anche tener conto dei problemi produttivi che la serie ha avuto (lo stesso Baz Luhrmann si era defilato dal progetto prima della cancellazione ufficiale per dedicarsi nuovamente al cinema) ma quando uno show, costato la bellezza di 120 milioni di dollari (bisogna considerare, tra le altre cose, anche le costose licenze delle canzoni e la colonna sonora originale), non genera un considerevole ritorno economico e d’immagine, il suo destino è segnato; ciò che è prassi da diverso tempo per i network televisivi generalisti e via cavo americani lo sta diventando anche per il celeberrimo servizio di streaming.
Sono ormai lontani i tempi in cui Netflix poteva fare tutto quello che voleva: anche il suo management deve oggigiorno sottostare alle dure leggi del mercato e dello share.