Nel giudicare Batman V Superman: Dawn of Justice tutto dipende da quali sono i parametri di riferimento. Se pensate di entrare in sala pronti a fare un confronto con la saga di Nolan, risparmiatevi la fatica; se le uniche atmosfere che amate in un cinecomic sono quelle à la Joss Whedon di Avengers non comprate il biglietto e se vi aspettate toni autoriali guardate altro. Però se quel che cercate è un’orgia di azione in perfetto stile fumettistico o uno pseudodrammone con un climax dinamitardo che nemmeno Michael Bay, allora dovreste dare al film una chance. Anzi, potrebbe anche entusiasmarvi, perché il film ha grandi difetti ma anche i suoi pregi, e di certo non merita l’accanimento riservatogli da buona parte della critica.
Innanzitutto sfatiamo il mito (pur abbastanza fondato) secondo cui la DC qui si è presa troppo sul serio. Non fatevi ingannare dalla fotografia tetra o dalle musiche drammatiche e maestose: Batman v Superman non ha la minima intenzione di essere troppo serio. Ogni leva psicologica è usata solo per guidare freneticamente verso l’azione, declinata in ogni variante possibile, e il continuo crescendo del film verso un finale di mostri e megaesplosioni è quanto di più pop possa esserci. Certo, i toni sono cupi, cupissimi. Ma quella oscurità formale di fondo è la salvezza del film.
UN BATMAN DA FUMETTO
in breve: Batman è l’elettore di Salvini più fico mai visto. Cominciamo dall’incognita che temevamo maggiormente: il Batman di Ben Affleck funziona alla grande. Infinitamente inferiore a Bale, ça va sans dire, fosse anche solo per le doti interpretative dell’attore. Ma è un pipistrello diverso, di gran lunga più fedele ai fumetti. È invecchiato (senza che ci sia un particolare approfondimento narrativo a rimarcare quanto sottolineato dalle zampe di gallina di Affleck), incattivito e potente quando un semidio. Della verosimiglianza chiaramente qui non importa nulla a nessuno, dato che a breve vedremo l’alter ego di Bruce impegnato ad adunare amazzoni, uomini pesce e androidi in Justice League, ma il risultato è tanto apprezzabile da far venir voglia di vedere molte più avventure con questo Cavaliere Oscuro fracassone che incarna a perfezione l’immaginario di Snyder. L’armatura presa para para dai fumetti di Miller è una delle più importanti innovazioni mai introdotte in ambito cinematografico per il personaggio, così come la ‘tenuta sahariana’ che viene mostrata con il pretesto di un sogno. In ogni caso è prevalentemente al casting di un Affleck dalla fisicità perfetta per il personaggio e all’ottimo costume design di Michael Wilkinson, collaboratore di vecchia data di Snyder, che viene demandata la creazione di un profondissimo legame con la pagina stampata. Certo, se vi aspettate quel Batman gotico e profondamente tormentato che tutti abbiamo sempre amato rimarrete a bocca asciutta. E poi Gotham non può essere suggestiva e grottesca, dovendo risultare coerente con la vicina Metropolis, ma in questo senso già la scelta fatta da Nolan di ambientare i suoi film tra Pittsburg e Detroit ci aveva allontanati dalle gargolle di Tim Burton. Se inoltre consideriamo che qui anche il racconto del tormento psicologico di Bruce Wayne viene tutto relegato alla messinscena dei suoi sogni e quindi trasformato in azione, allora è chiaro che non ha alcun senso infierire con i paragoni. Affleck non sarà Bale, ma nella parte è decisamente bravo. Potremmo dire che la scelta del giustiziere notturno di far fuori Superman perché ‘”non si sa mai” lo trasforma in una sorta di ottuso Salvini col mantello, ma che Snyder avesse rigurgiti un po’ fascisti già lo sapevamo e inoltre senza questa caratterizzazione sarebbe mancato il gustosissimo scontro tra i due paladini, vera gioia del film. Un commento a parte lo merita il personaggio di Alfred: il sempre talentuoso Jeremy Irons (che forse non era il caso di scomodare) è una perfetta spalla militare per il crociato di Gotham, molto fedele al fumetto, ma un terribile Alfred cinematografico: il legame emotivo così magnificamente ritratto da un inarrivabile Michael Caine è ormai svanito del tutto.
UN SUPERMAN DA FILM
in breve: Superman è un po’ Clark Kent e un po’ Mario Brega. Se quella dell’uomo pipistrello è la trasposizione più aderente al fumetto mai vista al cinema, con Superman siamo andati nella direzione opposta. L’indigeribile integrità ‘politically correct’ di un supereroe che nei film ha tendenzialmente sempre avuto l’appeal di un Mickey Mouse petulante e cordiale viene finalmente abbandonata, e così Terrio e Goyer riescono a scrivere un Uomo d’Acciaio che non ha più l’aria solare del supereroe della porta accanto. Continua ad essere un personaggio dal concept in parte datato, ma il salto di qualità rispetto a Man Of Steel è ciclopico. Questa volta lo vediamo come un alieno che è consapevole di non dover nulla ai terrestri, un semidio che conviene non far arrabbiare, con molti più chiaroscuri e decisamente più interessante; un superman-Mario Brega che: “Sta mano pò esse fèro e po’ esse piuma”. Peccato che rimanga semplicemente ridicolo il fatto che nessuno lo riconosca quando inforca un paio d’occhiali e che l’interpretazione di Herny Cavill sia a tratti scandalosa, soprattutto quando nello sforzo di mostrarsi contrito sfoggia uno sguardo piacione che suona il de profundis per ogni entusiasmo (eccezion fatta per quelli delle spettatrici in preda alla tempesta ormonale).
WONDER “LEI È CON TE?” WOMAN
in breve: Diana Prince ci è piaciuta molto, Xena di meno. La seconda grande incognita della pellicola era Wonder Woman. Considerato quanto sia ridicolo il personaggio in partenza (un’avvenente donnina con un succinto body a stelle e strisce che con i bracciali e il lazo incarna i sogni sadomaso made in USA), la trasposizione di questa icona femminista rischiava di essere un totale naufragio. Effettivamente nei combattimenti la modella ed ex soldatessa israeliana Gal Godot non convince troppo, con quei lunghissimi salti realizzati in modo eccessivamente innaturale, ma quando si aggira come una spia in elegantissimi abiti da sera risulta un personaggio inaspettatamente interessante (e decisamente affascinante). C’è da sperare che nello spin off a suo nome la DC non sprechi l’opportunità di presentare al meglio un lead character femminile prima della Marvel.
QUANTO È USATO MALE LEX LUTHOR!
in breve: Zuckerberg lo scrive meglio Aaron Sorkin. Lex Luthor è un personaggio che non mi ha mai affascinato, nemmeno se incarnato da quel mostro sacro di Kevin Spacey, ma l’idea di rileggerlo come uno Zuckerberg tanto brillante quanto spregiudicato è molto più che apprezzabile (anche se probabilmente i fan del fumetto avranno di che storcere il naso). La prestazione di Jesse Eisenberg, incommensurabilmente superiore in lingua originale, è chiaramente solo un assaggio in previsione di futuri sviluppi, ma è proprio Luthor ad essere il protagonista di alcune delle più irragionevoli pagine di sceneggiatura. Il personaggio è circondato da un perenne mistero, e il mistero è come abbiano fatto a trasformare una perfetta scelta di casting in un ingiustificabile deus ex machina al contrario le cui motivazioni e azioni sono prive di ogni convincente spiegazione o causalità. No, la sceneggiatura del film non è affatto un capolavoro, e se Batman e Superman dapprima fanno a gara a chi ce l’ha più lungo e poi si lasciano andare ad un catfight spettacolare ma sostanzialmente fine a se stesso, Lex Luthor è il tizio che organizza il combattimento di galli per il gusto di farlo. E già che c’è, dal nulla, sa come ricreare il troll de Il Signore degli Anelli (non spoileriamo). Forse vi state chiedendo perché lo faccia. Smettetela di pensare, ok?
E POI C’È LA JUSTICE WHAAAAT?
in breve: neanche Agents of S.H.I.E.L.D. arriva a certi livelli. La sceneggiatura non è il punto forte del film, no. La abbiamo già detto, ma c’è parecchio da aggiungere, ahimè. I personaggi sono tratteggiati molto bene, ma lì ci fermiamo. Cercare motivazioni concrete nello script è un esercizio destinato a un’amara sconfitta, e la necessità di inserire a tutti i costi richiami alla Justice League porta ad esempio a buttare lì in mezzo dei veri e propri ‘spot pubblicitari’ sugli altri supereroi in arrivo nell’universo DC. Ma se Wonder Woman fa di tutto per recuperare una foto digitale legata all’ambientazione del suo spin off (come se non ne possano esistere un milione di copie), se Cyborg è protagonista di un siparietto degno di Agents Of S.H.I.E.L.D. e se Aquaman si presenta alla telecamera in quella che sembra una citazione del Zoolander sirenetto, Flash batte tutti e viene buttato nella mischia totalmente a caso (segue spoiler minore): dal nulla si prende la briga di comparire in un tunnel temporale dal futuro, completamente fuori contesto, per dare a Bruce Wayne un messaggio la cui utilità è pari a zero.
IL MAGGIOR PROBLEMA È LO SCRIPT
in breve: il matrimonio tra Batman e Superman è di convenienza, non d’amore. L’ottimo Patrick Tatopoulos, qui al production design, fa un lavoro eccellente nello stabilire un tono d’insieme e le musiche mozzafiato di Hans Zimmer e Junkie XL, al di sopra di ogni aspettativa, consolidano l’amalgama (con Shostakovich poi un tonfo al cuore). Guardando il film, però, persiste in bocca un sapore strano: la ‘magia’ nel mondo di Batman proprio non ci sta bene. Certo, nel momento in cui vuoi fare un calderone in cui buttar dentro tutte le tue licenze, lo metti in conto di dover sacrificare un po’ di ogni personaggio. Il problema è che il fascino di Batman risiede tutto nella sua unicità di comune mortale tanto tormentato da mettersi una maschera e andare a caccia di criminali in un mondo relativamente verosimile. Se aggiungi la variante metafisica (e qui tra superpoteri, alieni e viaggi nel tempo non si è lesinato in nulla) snaturi profondamente l’unico character veramente efficace della storia, rendendo il percorso narrativo che lo porterà a incontrare la Suicide Squad (unica vera speranza della DC insieme al personaggio di Affleck) a dir poco contraddittorio. Checché ne dicano i fanboy dei fumetti.
Se inoltre decidi di imperniare il film sullo scontro tra l’uomo pipistrello e quello d’acciaio ma metti in conto di dover traghettare il franchise verso la loro collaborazione, è comprensibile che occorra un nemico comune in grado di farli coalizzare prima della fine della pellicola. Peccato che per arrivarci si scelga di includere qualsiasi idea lontanamente balenata nella mente di Snyder & Co., trascinando il film per una durata sesquipedale e assolutamente non necessaria. L’entrata in scena del villain finale è addirittura lapalissiana nella sua pretestuosità, dato che il cattivo si ‘manifesta dal nulla’ (non spoileriamo) senza un vero perché come il boss finale di un videogioco. Il marvel extended universe, nelle sue varianti cinematografiche e televisive, ci ha abituato a una qualità di sceneggiatura troppo alta perché siano ancora accettabili questi mezzucci anni ’90. C’è inoltre una totale assenza di ironia (la cosa potrebbe anche essere apprezzata come fulcro di un’intelligente strategia di diversificazione rispetto alla Marvel/Disney e alla Fox), ma il problema è che quando arrivano le uniche due battute del film, proprio nel bel mezzo del dramma, risultano finte e fuori luogo oltre ogni decenza.
E LA REGIA DI SNYDER È CONFUSA
in breve: il regista è come un ubriaco che si gioca tutto al casinò. È evidente che qui Zack Snyder, insignito di un’enorme responsabilità dalla DC, si sta giocando il tutto per tutto, buttando dentro le pellicola qualsiasi idea, scena, personaggio o esplosione gli venga in mente. È incredibile come comunque riesca a mantenere un certo controllo di una macchina chiaramente incontrollabile, glie ne diamo atto, e la dimensione di questa sua puntata folle sul tavolo da gioco è l’indice di quanto la Detective Comics sia consapevole di essere anni luce dietro alla Marvel nella capacità di sfruttare il proprio patrimonio creativo. Ma nella foga di buttare tutto dentro e fare tutto ora o mai più, qualcosa va inevitabilmente perso. Lo spettatore è esposto a una tale quantità di stimoli che esce dalla sala senza saper bene cosa ha visto, in stato semi-confusionale, e la durata della pellicola soffre di grossi problemi in sala di montaggio. Non ci sentiamo però di fare rimproveri né al montatore David Brenner né al direttore della fotografia Larry Fong, perché evidentemente il ritmo della pellicola non solo risente delle pressioni degli studios sullo script ma soffre anche di una sovrabbondanza di inquadrature statiche e rallenty, marchio di fabbrica di Snyder, che entro una certa misura contribuirebbero alla magniloquenza della narrazione ma che qui diventano un vezzo senza freni.
In conclusione il film ha il merito di aver destato l’innegabile curiosità del pubblico, che attirato dall’inedito scontro supereroistico sta riempendo le sale, e il demerito di non aver sfruttato al meglio un’opportunità irripetibile. Il danno non è irreparabile e probabilmente la Warner si affretterà ad affiancare una baby sitter a Snyder per contenerne gli sfrenati impulsi fumettistici e riportarlo sui binari di uno storytelling più propriamente cinematografico; ma è evidente che il sapore caotico di Batman v Superman: Dawn of Justice sia solo in parte frutto di scelte consapevoli. Premesso questo e mettendovi in guardia sulla durata, vi consigliamo di vederlo. Cacchio, Batman è Batman!