Dopo un anno di speculazioni, critiche, speranze e timori, e soprattutto, dopo una quinta stagione terribilmente discontinua, Game of Thrones finalmente è tornato. Ed è tornato in grande stile, con quello che forse è uno dei migliori episodi d’esordio di sempre: The Red Woman.
Gli archi narrativi delle stagioni precedenti hanno avuto nelle rispettive prime puntate quelli che forse erano gli episodi più deboli; ci può anche stare, glielo concediamo: ci sono sempre moltissime trame e sottotrame sulle quali ricapitolare a beneficio degli spettatori, ma il più delle volte la cosa è finita con la sensazione di aver assistito a un lunghissimo riassunto delle puntate precedenti.
La prima puntata della sesta stagione, invece, è riuscita a liberarsi da questo vincolo: pur riprendendo la storia esattamente da dove l’avevamo lasciata, con pochi scambi di battute e una regia sapiente (dietro la macchina da presa Jeremy Podeswa, veterano de I Tudors e Boardwalk Empire) riesce a riportarci lì dove serve che ci troviamo, con la sensazione di non esserci mai allontanati. Il montaggio è tutt’altro che frenetico, pur mantenendo un buon ritmo, e forse è proprio questo il segreto: ogni situazione ha il proprio respiro, i propri tempi. Non ci si preoccupa di condensare il maggior numero di informazioni nel minor spazio possibile: ogni quadro si lascia assaporare in tutte le sue tinte lugubri, grazie anche alle performance degli attori, sempre più a loro agio con i rispettivi personaggi.
Le sequenze iniziali sono impeccabili: una rapida introduzione solo all’apparenza immobile, ma carica di minaccia, precarietà, disperazione e determinazione oltre ogni ragionevolezza, per poi passare immediatamente a un vortice d’azione nel quale l’unica possibilità di scelta pare quella della morte meno atroce.
E da qui, carichi di adrenalina, accogliamo benevolmente un lieve rallentamento, almeno per tirare il fiato. Solo in apparenza, però: quello che aleggia non detto su questo primo episodio è che tutti, nessuno escluso, buoni e cattivi, ondeggiano sull’orlo dell’abisso, e lo spettatore subisce inerme questa informazione senza inutili verbosità, senza indulgenze a commenti musicali forzatamente drammatici né a un uso eccessivo dello splatter.
Spero che i puristi mi perdoneranno, ma ho trovato che questo primo episodio sia stato il più “tolkieniano” di quelli visti fino a questo momento. Mi spiego: il fantasy di Martin è profondamente crudo, iperrealistico, sporco e disperato, mentre alla base di quello di Tolkien c’era sempre e comunque un barlume di speranza, un sistema di valori che solo gli esseri più esecrabili avrebbero osato infrangere.
Ebbene, in questa prima, cupa puntata della sesta stagione de Il Trono di Spade, in mezzo al sangue, alla crudeltà, al sadismo, all’odio più scellerato, vediamo emergere come isole in un oceano ribollente, momenti di gentilezza, di eroismo disinteressato, di amicizia. Di quella speranza, insomma, che troppe volte sembrava latitare dalle ambientazioni martiniane.
E questo ci porta a considerare un ulteriore pregio di questa prima puntata: appare evidente che gli showrunner David Benioff e D.B. Weiss si stanno finalmente liberando del vincolo di fedeltà al materiale letterario di partenza, ormai diventato un onere spesso ingombrante. E se ne stanno liberando senza mezzi termini, chiudendo senza tanti complimenti o stravolgendo in toto tutte quelle linee narrative che nei libri erano diventate un peso per i lettori. Finché il livello dei romanzi è stato superlativo, attingerne era facile. Ma poi quel livello (a detta di molti, non solo di chi scrive) è precipitato, e laddove sarebbe stato il caso di iniziare a tirare i remi in barca, l’autore ha continuato ad aggiungere personaggi, luoghi e intrighi.
La quinta, sofferente stagione della serie è stata il momento di transizione durante il quale gli showrunner hanno iniziato timidamente a volare con le proprie ali pur senza osare un distacco definitivo dalla storia di Martin. Adesso la storia è in mano loro (lo stesso Martin l’ha ammesso), la libertà creativa, almeno sulla base di questa prima puntata, sta portando una ventata di freschezza che non vedevamo da tempo.
Questo episodio d’esordio ha convinto sotto molti punti di vista. Ha risposto a pochissime domande e ne ha poste una gran quantità di nuove, ma l’ha fatto sapientemente, dosando suspense, dramma, ottimi dialoghi ed eccellenti interpretazioni. Quando si arriva ai titoli di coda con la sensazione che l’episodio sia durato troppo poco, la missione è decisamente compiuta.
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Recensione di Game of Thrones 6×01: perché ora cambierà tutto (no spoiler)
Edoardo Stoppacciaro, doppiatore e consulente per la localizzazione della serie in Italia, ci spiega perché con il primo episodio della sesta stagione cambia tutto.