Una buona storia nasce sempre da un buon contrasto. Che siano libri, pellicole o persino quadri, il modo migliore per partire è sempre da un confronto fra due realtà diverse, opposte.
Con Le Confessioni il regista Roberto Andò lancia una sfida a se stesso e allo spettatore: cosa potrebbe venire fuori se, in mezzo agli otto esseri umani più potenti del mondo e ‘proprietari’ del destino della terra, si infilasse un monaco ambiguo che non possiede niente se non il suo saio?
Lo spunto è interessante, il film ancora di più.
In un lussuoso ed isolato albergo sta per riunirsi il G8 dei ministri dell’economia, pronti a varare una manovra finanziaria importantissima che potrebbe cambiare il mondo. Per placare l’opinione pubblica vengono invitati anche una rockstar e una celebre scrittrice di libri per bambini, oltre a Roberto Salus (Toni Servillo), un ambiguo monaco e scrittore che ama registrare il suono degli uccelli.
Una notte, precisamente quella del suo compleanno, il presidente del FMI Daniel Rochè (Daniel Auteuil), si confesserà al frate, rivelandogli un oscuro segreto del quale tutto il mondo vorrebbe venire a conoscenza, ma il monaco ha fatto voto di silenzio…
Premessa: Confessioni è il titolo dell’opera magna del 400 scritta da Sant’agostino; Le confessioni, inoltre, è anche il titolo degli otto libri che compongono la biografia del filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau. Infine, il richiamo più evidente, quello a Todo Modo, il film testamento di Elio Petri, tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia, il mentore di Roberto Andò.
Se questo non vi bastasse, aggiungeteci l’ottimo successo di pubblico e critica (di questi tempi è un miracolo) che ebbe Viva la libertà, il ritorno sul grande schermo di Toni Servillo, dalle giacche porpora all’abito bianco-latte, un trailer ermetico che mostra solo i visi dei protagonisti ed un cast dal respiro internazionale. I film si devono vendere anche e, soprattutto, così. Giù il cappello ad Andò e al suo team.
Ma veniamo al film.
Nonostante ci siano un sospettato, un indagine e un segreto, la componente di mistero e thriller si dissolve presto a favore di un ritmo lento, nel quale i tempi sono dilatatissimi e la trama procede più per dialoghi che per azioni, per ‘confessioni’, appunto, più che per movimenti. Andò procede con uno sguardo poetico, metafisico, debitore dell’estetica sorrentiana, su tutti Youth e Le conseguenze dell’amore, dal quale attinge per la costruzione di Salus, il quale condivide certi tratti con Titta di Girolamo, entrambi oscuri, schivi, ambigui, con un passato che, come nel film di Sorrentino, non scopriremo fino alla fine.
Le confessioni è uno di quei film che non si fanno più, quelli che suggeriscono, sollevano dubbi, ‘invitano’, frastornano e disorientano, una di quelle pellicole che crescono dentro lo spettatore e finiscono solo dopo un’attenta riflessione, come succede, per citare due nomi illustri, con Viridiana (Luis Buñuel) o Teorema (Pier Paolo Pasolini), opere che ci sembrano irricevibili, ma delle quali si subisce il fascino irresistibile.
Andò racconta in modo originale – come aveva già fatto in Viva la libertà, tanto che Salus potrebbe essere, ipoteticamente, il ‘terzo gemello’ – i lati del potere che non conosciamo, in particolare, i sentimenti che animano i potenti. Michel Piccoli rinunciava all’investitura papale in Habemus Papam, scatenando il panico a Città del Vaticano, proprio come Daniel Auteil, il quale rinuncia alla vita ne Le confessioni, mettendo a repentaglio il futuro dell’umanità.
Nel film di Moretti i cardinali venivano ‘svestiti’, non erano più vassalli di dio, ma semplici uomini che competono in un assurdo quanto geniale torneo di pallavolo, oppure seduti al tavolo mentre giocano a carte, il tutto sullo sfondo del più difficile momento della cristianità. I cardinali di Moretti non possono lasciare città del Vaticano, come i ministri di Andò non possono lasciare l’albergo e, in quel preciso istante, cessano di essere icone e si trasformano in esseri umani, attraverso un processo analogo, ma a ritroso, del Mussolini di Vincere che da uomo vivo, pulsante, diviene prima immagine e poi statua, fissandosi in mezzo al tempo.
Il potere è l’oggetto invisibile che i personaggi si passano per tutto il film, esso è in divenire, in movimento, si evolve, proprio come lo spirito per Hegel; prima lo hanno i ministri, poi sembra averlo Daniel Rochè ed infine lo detiene Salus. Ma cos’è il potere? IL potere è un semplice segreto, il potere è il pericolo che deriva da esso.
Inoltre le se vie del signore sono infinite, le vie del potere sono più infinite, tanto che la rockstar e la scrittrice sono equiparabili ed equiparati ai ministri. Claire Seth (Connie Nielsen), infatti, ha paura che il suo prossimo romanzo, un giallo, non sia all’altezza delle sue opere per bambini, perché milioni di lettori affamati sono un popolo, tanto quanto lo sono le nazioni.
Salus all’inizio del film ci viene presentato all’aeroporto, disorientato, spaesato, porta addosso gli anni di clausura, non si sa muovere fra la gente, va a comprare un registratore e Andò ce lo mostra mentre assiste a una lunga spiegazione del negoziante, probabilmente, sul suo funzionamento. Arriva all’albergo con un saio, un libro ed un registratore ed in meno di dieci ore arriva ad avere in mano il mondo, passando da un possesso concreto ad uno astratto.
Il film gioca, con grandissima maestria, sulla contrapposizione fra concreto ed astratto, sull’entità e la forma del possedere e sul diverso comportamento, prima quello ufficiale e cerimonioso che devono mantenere i ministri, inizialmente indomenicati per la foto ufficiale, e poi quello più umano, mentre alla sera cantano una canzone che la rockstar suona alla chitarra.
Vengono costretti, per l’indagine, a non uscire dall’albergo, a non rilasciare interviste e, quando non hanno più la necessità di mostrarsi, ci appaiono come umani con pregi e difetti e si esprimono come umani. Scopriamo così il flirt del ministro tedesco con quello canadese – la bellissima Marie-Josèe Croze -; seguiamo il ministro russo che tenta di sedurre la scrittrice, a sua volta infatuata, forse, di Toni Servillo; li vediamo, nella scena meglio riuscita del film, seduti alla tavola rotonda, mentre speculano sul futuro dell’economia mondiale e ci sembrano onnipotenti. Tuttavia, basterà l’abbaiare di Rolf, un cane docile, per spaventarli e farli nascondere, svelandone il lato ‘fanciullesco’, quello che non deve mai uscire.
Il processo è lo stesso di Habemus Papam. Michel Piccoli rinuncia all’investitura papale, proprio come Daniel Auteil rinuncia alla vita, mettendo a repentaglio, nel primo caso la cristianità e nel secondo l’economia. La processione iniziale del film di Moretti è il corrispettivo della foto di rito di Andò, occasioni nelle quali basta un errore per mandare in fumo la solennità. Anche i cardinali di Moretti saranno costretti all’esilio a Città del Vaticano e, proprio come i protagonisti de Le confessioni, non potranno sottrarsi al loro lato di uomini; si dimenticheranno di essere vassalli di dio, competendo strenuamente nei tornei di carte e Pallavolo che lo psicoanalista Brezzi organizzerà per loro.
In entrambe le pellicole si alternano, rispettivamente, la ricerca del cardinale Melville e la ricerca della verità, con dei momenti di inaspettata e inusuale vita quotidiana.
Il film di Andò funziona egregiamente, sia per quello che riguarda la storia che per quello che riguarda la direzione degli attori. Le musiche di Nicola Piovani non si impongono mai troppo e accompagnano il film alla perfezione. La pellicola potrebbe risultare irricevibile a una prima analisi, ma non è un suo difetto, bensì è la sua bellezza. Non aspettatevi un Servillo diverso, ‘motteggia’ come con Sorrentino e il suo modo di recitare non cambia, prendere o lasciare, lo si ama o lo si odia.
Il regista palermitano si conferma uno dei grandi ‘dimenticati’ del nostro cinema, uno di quelli di cui si parla troppo poco, in una nazione in cui i registi si dimenticano con troppa facilità. Basti pensare a quanto poco citiamo Marco Ferrei o lo stesso Petri, veri e propri geni che ci hanno regalato grandissimi film. Le confessioni è, almeno per noi, uno dei film più intelligenti, acuti e meglio riusciti degli ultimi anni.
Le Confessioni: Toni Servillo e il destino del mondo
Nel riuscitissimo giallo surrealista di Roberto Andò un monaco certosino ha in pugno i potenti del pianeta.