Scorrono le prime immagini con i titoli di testa e le note The sound of silence predispongono subito alla visione di Un’estate in Provenza, terzo film della regista avignonese Rose Bosch. Finite parole e musica di Simon & Garfunkel si torna alla realtà e a quello che ci si aspetta da un lavoro a metà tra film di formazione e di intrattenimento.
Léa, Adrien e il loro fratellino sordomuto Théo (il film è sottotitolato per i non udenti) vengono portati in vacanza dalla nonna Irène in Provenza, a casa del nonno. Ma una volta arrivati i due adolescenti non troveranno la situazione in cui probabilmente avevano sperato. Nonno Paul infatti vive in campagna, dove non c’è campo per i telefonini e dove non c’è, e quindi non si guarda, neanche la televisione, “semmai – mette subito in chiaro lo scorbutico Paul – è lei che guarda noi”. La casa è isolata, non esistono servizi pubblici né tantomeno infrastrutture. Tutto intorno soltanto ulivi. A questo quadro desolante, per lo meno agli occhi di due giovani parigini, si aggiunge una situazione familiare complicata: i loro genitori sono separati e assenti e anche i nonni si stanno ricongiungendo dopo una precedente frattura.
La regia della Bosch è lenta, non ci sono colpi di scena e tutto è più che prevedibile, iniziando dall’interazione dei ragazzi con i residenti del borgo provenzale che riusciranno a sorprenderli e in qualche misura a farli innamorare. Lo scontro generazionale viene portato ad ogni estremo possibile, così come la superficialità che descrive gli errori dei giovani e le reazioni dei grandi. I sentimenti che covano sotto la cenere e che esploderanno (manco a dirlo!) nel finale sono la logica e degna conclusione. I nonni, si sa, sono delegati a togliere le castagne dal fuoco dei figli occupandosi dei nipoti e questo Jean Reno e Anna Galiena lo sanno fare da dio. Ma i nonni sono anche quelli che hanno un passato e il passato di Irène e Paul si può riassumere in una data da dove deriva la loro formazione e il loro stile di vita: Woodstock 1969 (il più grande evento e raduno della cultura hippie).
La sferzata che rompe la monotonia della pellicola si concretizza infatti con l’arrivo a cavallo delle loro Triumph dei vecchi amici ‘figli dei fiori’. E qui le citazioni del tempo che fu si sprecano: nell’abbigliamento, nelle canzoni, nelle moto, nelle chitarre, nelle canzoni intorno al fuoco, nel linguaggio, nei look e chi più ne ha più ne metta. Troppo, decisamente troppo per un’idea che, se ben controllata, avrebbe potuto avere un suo perché senza far perdere la sceneggiatura, e insieme i personaggi, fra le note infinite e improbabili di Forever young.
E comunque, visto che sono arrivati e si sono trattenuti, l’arzillo gruppetto di capelloni attempati (e un po’ stempiati) viene impiegato anche per dare una mano a Paul per risolvere un problema della nipote Léa. La spedizione sa un po’ di ‘soccorso geriatrico’ ma in questi casi si apprezzano buone intenzioni e saggezza. Pregevole invece lo spottone della Bosch alla Provenza, con scorci molto belli tanto da perdonarle anche l’intrusione del classico e inutile cavallo bianco che scorrazza nel paesaggio. È probabile che il film piaccia a chi vive intensamente il ruolo di nonno o di nonna. È possibile che piaccia anche agli adolescenti in cerca di buoni sentimenti e di confronto tra pari. In fondo la possibilità di sentirsi giovani parigini à la page per un’ora e mezza non si nega a nessuno.
Un’estate in Provenza per il nonno Jean Reno
Jean Reno e Anna Galiena sono due nonni campagnoli ed ex hippy che devono ospitare i tre nipoti: due adolescenti à la page e un bambino sordomuto.