Oggi vogliamo parlarvi di un piccolo, inatteso gioiello emerso lottando con le unghie e con i denti dall’oceano delle grandi distribuzioni italiane, da quel generico piattume che ci ha abituati a un certo autocompiacimento anche nelle commedie migliori, e a credere che tutte le storie si possano raccontare con gli stessi cinque o sei attori.
Vi parliamo de Il Ministro, terzo film del regista Giorgio Amato, che ha debuttato nelle sale il 5 maggio.
Un film (sulla carta) talmente ‘piccolo’ che non si sapeva nemmeno se sarebbe mai uscito al cinema. Un’opera nata dalla grande voglia, forse dal bisogno di raccontare una storia, e di raccontarla bene, forse con pochi mezzi, ma con immenso talento.
La premessa è piuttosto semplice: Franco Lucci (uno strepitoso Gianmarco Tognazzi) è un imprenditore sull’orlo della bancarotta. Come salvare le sorti della propria impresa? Corrompendo un Ministro, naturalmente. E quale modo migliore per corromperlo, se non con una cena a base di vino da 300 Euro a bottiglia, ottimo cibo, coca e sesso?
Il cognato Michele (Edoardo Pesce), lo aiuterà sia nell’organizzazione della serata, sia a tenere a bada le intemperanze di Rita (Alessia Barela), insopportabile moglie di Franco. Ci sono poi Esmeralda (Ira Fronten), la cameriera sull’orlo del licenziamento proprio perché non va a genio alla signora Rita, e infine Zhen (Jun Ichikawa), ballerina di burlesque “sveja, pure troppo”, per descriverla con le parole di Michele.
Tra liti furibonde e imprevisti tragicomici a ritmo serrato, poi, arriva lui. Il Ministro. L’onorevole Rolando Giardi (Fortunato Cerlino). E nel suo incedere lento, nel suo scrutare sornione da dietro gli occhiali, nel suo sorriso laido, nel tono di voce sempre basso e cospiratorio, nel suo concedere confidenza e prendersi liberamente gioco di tutti, anche dei padroni di casa, nelle sue occhiate voraci/bavose alle donne, riconosciamo tanti (troppi?) nostri politici di oggi.
Non faremo anticipazioni sullo sviluppo di queste premesse, ma dopo un inizio teso (atmosfera creata alla perfezione dalla terribile coppia Tognazzi-Barela), si precipita al ritmo di battute, imbarazzi, messe alla berlina, ammiccamenti e sorrisi tirati, verso un finale che è un autentico vortice, un continuo “non può andare peggio di così” puntualmente smentito dalla catastrofe che esplode un secondo dopo, fino alla sconcertante (e in qualche modo perfino rincuorante) chiusura del film.
Di film sul malcostume italiano sono piene le videoteche. Dopo tanti anni, questo è forse uno di quelli che lo ha raccontato meglio. Non c’è traccia di quell’autocompiacimento di cui parlavo all’inizio, niente “Visto? Vi ho fatto ridere ma anche pensare”. La scrittura è asciutta, spietata; i personaggi sono scolpiti magistralmente, e anche nei momenti più “sopra le righe”, dove il rischio macchietta è dietro l’angolo, la bravura degli attori li ha resi tutti perfettamente (e orrendamente) credibili.
Gianmarco Tognazzi ha creato un imprenditore odioso, con la sua raccapricciante scala delle priorità chiaramente esemplificata dalla sua prima all’ultimissima scena, non privo di un qualche residuo di umanità annacquata da anni di marciume.
Edoardo Pesce ha portato in scena l’italiano medio declinato in tutti i suoi luoghi comuni, nella volgarità, nel voler fregare anche chi ti sta aiutando, nello sputare sulla dignità umana convinto comunque di trovarsi nel giusto.
Alessia Barela ha reso la sua Rita un coacervo di nevrosi e ipocrisie moderne trasformate in pura violenza psicologica da anni di matrimonio infelice.
Ira Fronten ha portato in scena un personaggio meraviglioso, pieno di dignità maltrattata, di lacrime ingoiate e nascoste dietro al sorriso benevolo di una cameriera alla quale è stato ordinato di non avere il muso lungo per non annoiare il Ministro.
Fortunato Cerlino (il Pietro Savastano di Gomorra – la serie) ha saputo farci odiare il suo Ministro fin dalla prima inquadratura di nuca. Un personaggio totalmente privo di aspetti positivi, ma tratteggiato con misura, intelligenza e realismo (sia nella scrittura che nell’interpretazione), al punto che non si può non rimanerne colpevolmente affascinati.
Dulcis in fundo, il deus ex machina della storia: la ballerina di burlesque Zhen, splendidamente interpretata da Jun Ichikawa. Scivola in scena come un imprevisto dai passi felpati, e con le sue occhiate di fuoco, il suo disquisire di Hegel, di teologia ermeneutica, sociologia e politica, si presenta come la nota stonata in una cena dichiaratamente votata al corrompere, al mangiar bene, al sesso e al non toccare argomenti troppo profondi per non indispettire il Ministro. Lei provoca (sessualmente e intellettualmente), osserva, usa l’acume e la cultura come armi di seduzione di massa, prende rapidamente in mano la situazione e ne trae tutto il vantaggio possibile, stravolgendo e trasformando interamente la realtà che la circonda. Jun Ichikawa è stata magistrale nel proporre in modo sempre misurato e credibile la sua Zhen, un personaggio rischioso, votato per propria stessa natura ad essere eccessivo, anche per svettare con la sua eleganza, sensualità e intelligenza sulla dominante mediocrità della cena.
Menzione d’onore per il cagnolino Chico, che dalla primissima inquadratura del film definisce il percorso del protagonista.
La fotografia non sempre è all’altezza della narrazione, ma la macchina a spalla, le musiche e il montaggio che sembra seguire le occhiate ansiose di Franco/Gianmarco Tognazzi, creano l’illusione di essere anche noi invitati a questa cena di mostri, testimoni diretti di un microcosmo di nefandezze così come siamo testimoni ogni giorno del macrocosmo catastrofico del nostro Paese. Ridiamo, ridiamo di gusto e con cattiveria, sentendoci anche in colpa per questo. Proviamo disprezzo e invidia per il Ministro così sporco, così potente, e riusciamo a empatizzare con tutti i personaggi, perché ognuno di loro mostra in sé un qualcosa che, anche in minima parte, anche se preferiamo non ammetterlo, appartiene anche a noi stessi.
Il Ministro, una sorpresa low budget
Nonostante i mezzi ridotti all'osso e un cast non 'alla moda', la commedia di Giorgio Amato stupisce positivamente.