Sole alto è un film entusiasmante. Dalibor Matanic, regista e sceneggiatore del film, ha dichiarato di avere già in mente una sorta di seguito per la pellicola, secondo episodio di una ambiziosa “Trilogia del sole”. Il 2015 potrebbe quindi essere l’anno che segna il rinnovamento definitivo del genere “neo-realista”: magari neo-neorealismo. Perché Laszlo Nemes è addirittura giurato all’edizione di Cannes cominciata qualche giorno fa, perché Il figlio di Saul è il miglior film straniero dell’anno, sia agli oscar che ai golden globe e, cosa più importante, perché Sole alto è un film davvero unico nel suo genere.
“Amore” e “guerra”, oltre a ricordare il film di Woody Allen, rimandano immediatamente al debutto di Alain Resnais, Hiroshima mon amour, nel quale Emmanuelle Riva ricordava con grande tristezza la morte del soldato tedesco di cui si era innamorata durante la guerra e dove nel bellissimo flashback finale i due si trovavano a rappresentare la Francia e il Giappone, Hiroshima e Nevers. Matanic progetta il film su un concetto simile, tre episodi, ambientati nel 1991, 2001 e nel 2011, in tutti gli episodi a recitare sono sempre gli stessi attori, un ragazzo croato, interpretato da Goran Markovic e una ragazza serba, interpretata da Tihana Lazovic.
Godard diceva sempre “L’importante non è il messaggio. È lo sguardo”. Matanic ascolta la lezione di Godard e mette in scene tre storie raccontate con tre sguardi diversi. La sceneggiatura non è per niente eccezionale, anzi, il primo episodio, nettamente più debole degli altri, sembra essere deciso già dalla prima scena. Sappiamo come finirà e così finisce. Eppure esso è fondamentale a lanciare lo spettatore nell’atmosfera che Matanic costruisce. Due villaggi lontani dal mondo, un lago azzurro e delle dolci montagne, non c’è bisogno di altro. Un trombettista croato, all’alba della guerra civile, vuole andare via con la sua giovane ragazza, il cui fratello è un serbo patriottico.
Ci sono le trincee, i primi soldati, i prodromi della guerra, così ben allestiti da sembrare veri. Sembra di vivere il giorno precedente allo ‘scoppio’, gli ultimi momenti di serenità.
Tuttavia, pur non esaltando, il primo episodio è importantissimo per le dinamiche temporali delle vicende successive. Perché, in fin dei conti, è nel secondo e nel terzo episodio che Sole alto dimostra di essere, semplicemente, un capolavoro.
La seconda storia ci porta nel 2001, cinque anni circa dalla fine della guerra. Una mamma e sua figlia, entrambe serbe, si aggirano fra i resti delle case, in cerca di un posto dove stabilirsi. Trovano una casa orrenda, con un letto consumato e i mobili che cadono a pezzi, eppure sono contente di averlo trovato. Per fare alcuni lavori la madre chiama un tuttofare croato che si chiama Ante, che sarà subito visto con disprezzo dalla figlia. Il secondo ‘amore’ non è più romantico, ma diventa piuttosto una storia degna di Moravia o Josephine Hart, ovvero una storia di semplice passione sessuale. L’attrazione cresce ma non esplode, lei è serba e lui è croato, lui ha perso il padre e lei il fratello. Essi sono il simbolo dell’odio cementificato fra i due popoli, che, involontariamente, si auto-rappresenta in due giovani che si conoscono e si piacciono. Pochi dialoghi, quasi nessuno, da qui in poi il film cambia linguaggio totalmente e fa parlare i gesti, i movimenti di macchina. Il tempo è cambiato, la città è cambiata e la musica è cambiata: dalla melodia malinconica un po’ felliniana della tromba al musica degli auricolari, fino a una bellissima in scena, nella quale i personaggi, in modo commuovente, produrranno una sinfonia con strumenti inusuali.
Il terzo episodio è sicuramente il più interessante. Il film si rifiuta di trarre delle conclusioni, di spiegare, ripudia la concretezza. La musica proviene ora da una macchina e dagli altoparlanti di una console a una festa.
Il linguaggio è da Gaspar Noè ( Enter the void, Love). Gli ultimi trenta minuti del film sono completamente muti, la luce si mostra in tre forme, prima quella fittizia e psichedelica della festa, poi la prima luce dell’alba ed infine, lui, quello che da il titolo al film, il “sole alto”. Schiariti da esso i due protagonisti concluderanno, meravigliosamente, il terzo episodio, senza che si possano trarre conclusioni banali.
È al limite del ‘criminale’ non distribuire questo film. Sole alto è un film su una delle guerre civili più sanguinose di sempre (300.000 morti circa), ma dove la guerra non è presente. Non si vede sangue e non si sentono spari, nemmeno si parla mai della guerra, essa è uno spirito che corre in mezzo alle persone in modo impercettibile, tanto che , se non fosse che gli esami sono scanditi in anni, sarebbe impossibile accorgersi della guerra. Matanic presta attenzione al tempo, nel secondo episodio, nello scorrere “inutile” del tempo per le persone che vorrebbero ricominciare ma non possono. Soprattutto rinuncia a mostrare le “miserie” delle guerre, poiché egli parla di personaggi nel complesso “fortunati”, anche solo per essere usciti vivi e senza troppe perdite dalle feroci guerre Jugoslave. Il figlio di Saul e Sole alto: il neo-neorealismo.
Sole Alto: semplicemente un capolavoro
Nel film di Matanic tre episodi, nell'arco di tre decenni, raccontano la guerra senza mai mostrarla.