Nelle ultime settimane, l’intenso finale della puntata 6×05 di Game of Thrones ha portato un’attenzione e curiosità insolite su come l’edizione italiana avrebbe adattato l’ormai celeberrimo “Hold the door”.
La brillante soluzione è stata “Trova un modo”, e mi ha dato lo spunto per parlare di una figura che troppe volte, nel doppiaggio, viene tralasciata: quella dell’adattatore-dialoghista.
Per dare un’idea di quanto questo ruolo sia importante, basti pensare che quando si lavora su un buon adattamento, metà del turno è già fatto. Con l’apertura del doppiaggio all’opinione pubblica, però, il delicato lavoro dell’adattatore è stato via via sottoposto a uno scrutinio sempre maggiore, talvolta anche con grande superficialità. Mi piacerebbe, quindi, affrontare il lavoro dell’adattamento con un occhio interno, fornendo qualche elemento professionale in modo che chi lo apprezza abbia la possibilità di capirne davvero l’importanza, e chi lo disprezza possa almeno farlo con cognizione di causa.
Chiariamo subito un punto fondamentale: l’adattamento non è una traduzione. Molto spesso viene rimproverato alle varie edizioni italiane che «Quel personaggio in originale diceva un’altra cosa». Vero, ma quella cosa lì, in italiano, non si dice. È proprio questo il fulcro del lavoro: comprendere il significato delle battute e trasporlo nella lingua di fruizione attraverso il significante più adatto, se possibile mantenendo intatte le sfumature e gli eventuali giochi di parole pensati dall’autore originale. Questo comporta che a me, spettatore, non dovrebbe fregare un accidente se il personaggio, in inglese, dichiara che “Stanno piovendo cani e gatti”, perché non vedo poveri quadrupedi sfracellarsi al suolo da grandi altezze. Dovrebbe bastarmi sentire un familiare “Piove che Dio la manda”.
C’è poi un’ulteriore difficoltà: il sinc labiale. Stiamo parlando di doppiaggio, di quella, cioè, che è a tutti gli effetti una mistificazione, un inganno. L’inganno consiste nel far credere che il personaggio parli in italiano quando il pubblico sa benissimo che la sua lingua madre è un’altra. Perché l’inganno risulti efficace, è necessario che i movimenti labiali corrispondano il più possibile alle parole recitate dal doppiatore, e questo comporta un’attenzione non solo ad aperture e chiusure di bocca, ma anche al ritmo interno della battuta, alla recitazione dell’attore originale e del doppiatore che vi si sovrapporrà.
Per chiarire, un doppiatore esperto saprà far stare “Forse tuo fratello lo aggiusterà” su un “Perhaps your brother will fix it”, ma se analizzate la battuta in inglese vedrete che ci sono ben tre labiali (chiusure complete) e due semi-labiali (W e F, chiusure parziali), contro la battuta italiana che ha solo due semi-labiali nella parte iniziale della battuta. L’inganno, con un adattamento simile, regge poco.
Altra cosa importante è il registro linguistico. Ogni personaggio ha un proprio modo di esprimersi, e quel modo racconta l’estrazione sociale, l’epoca, la personalità. Una regina che chiede a un cavaliere di visionare un documento redatto su pergamena dicendo “May I have a look?”, in italiano suonerà bizzarramente fuori contesto se gli spettatori la sentiranno chiedere “Mi fai dare un’occhiata?” così come dal figlio analfabeta di un minatore dell’Ottocento non ci si aspetta un vocabolario forbito e un uso impeccabile delle forme verbali.
E l’aderenza all’originale, allora? Dev’esserci, ci mancherebbe, ma dev’essere anche commisurata a tutte queste altre esigenze tecniche e artistiche.
Discorso a parte (ma fino a un certo punto) meritano le commedie.
Scopo di una commedia, manco a dirlo, è quello di far ridere, e gli autori lo perseguono con tutti gli espedienti che la loro arte può fornire: ironia sulle situazioni rappresentate, giochi di parole, assonanze audaci, doppi sensi e ricorso a luoghi comuni. Tutte cose che, nella trasposizione in un’altra lingua, vanno inevitabilmente a perdersi.
A quel punto, l’adattatore deve lavorare d’ingegno. Un esempio insuperabile di come andrebbe adattato un film comico sono i dialoghi di Frankenstein Junior. Mario Maldesi, direttore del doppiaggio e adattatore, trovò un numero esorbitante di soluzioni che, pur discostandosi dall’originale, hanno saputo rendere nella nostra lingua gli stessi giochi, la stessa ironia. Basti pensare al famoso
«Werewolves!»
«There wolves; there castle».
«Lupo ulula!»
«Lupo ululà; castello ululì».
La cosa si fa più sottile e più demandata al gusto personale quando le battute del film possono forse strappare un sorriso nel rispettivo paese d’origine ma non sono granché, finendo per passare del tutto inosservate nella trasposizione italiana. A quel punto, laddove possibile, un buon dialoghista e un buon direttore possono decidere di operare delle forzature a beneficio della resa comica della scena. Penso a un dialogo del film Ghostbusters 2, adattato e diretto dal grandissimo Oreste Lionello.
In originale, Ray (Dan Aykroyd) elenca a Peter (Bill Murray) tutte le raccapriccianti procedure attraverso le quali, nel 1500, fu ucciso il loro nemico spettrale.
RAY: «He was poisoned, shot, stabbed, hung, stretched, disemboweled, drawn and quartered».
PETER: «Ouch».
In italiano:
RAY: «Fu avvelenato, pugnalato, impalato, impiccato,sbudellato, affogato e squartato».
PETER: «Ed è guarito?»
Ecco. Quel “Ed è guarito?” è un esempio brillante ed efficace di come adattare un film comico.
Sempre parlando di Oreste Lionello, fu lui a redigere un adattamento che ancora oggi viene studiato nelle università e unanimemente osannato, un lavoro che trascende dal doppiaggio e diventa altissima letteratura: la versione italiana del Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau con Gerard Depardieu e Anne Brochet. Un testo completamente in rima, trasposto in un italiano a dir poco splendido senza la minima forzatura, capace di ammaliare a tal punto che, da spettatori, ci si dimentica delle rime e ci si innamora dei dialoghi così come sono.
Dovendo pensare a qualcosa che esemplifichi il lavoro di adattamento in modo pratico e immediato, senza tanti spiegoni (come quello che avete appena letto) e giri di parole, non posso che consigliarvi di recuperare film come Cyrano de Bergerac e Frankenstein Junior, ma anche Gli Aristogatti col micione Romeo e la sua calata romanesca (Thomas O’Malley the alley cat, in originale) e molti altri capolavori del doppiaggio nati nell’epoca in cui l’aderenza all’originale non era ancora diventata fanatismo. Riguardateli e riflettere sulle soluzioni trovate dagli adattatori: quella è la miglior spiegazione possibile di come un adattamento dialoghi andrebbe fatto.
“Trova un modo, Hodor. Trova un modo.”