Mario Bambea, «noto scrittore, filosofo e opinionista legato alla sinistra italiana degli anni ’90» dalla popolarità ormai in declino, ha un incidente d’auto. Sembra uscire illeso dal frontale ma presto, parallelamente a quella dell’intellettuale dabbene, inizia a manifestarsi una seconda personalità, probabilmente espressione di istinti troppo a lungo sopiti. Di notte la volgarità prende il posto della prosopopea, i ragionamenti ‘di pancia’ della retorica e la voglia di evasione dell’impegno civile. Un uomo diametralmente opposto reclama un proprio spazio in quella vita, e inizia a farlo frequentando il palco di uno scadente teatrino di cabaret. Un uomo gretto e banale, che però riesce a risultare più umano della sua ‘nobile’ ma insostenibile controparte.
Queste le geniali premesse di Dov’è Mario?, nuova esilarante miniserie targata Sky che vede il ritorno sul piccolo schermo di un sempre più straordinario Corrado Guzzanti.
Intelligente e divertente allo stato dell’arte, la prima puntata dello show riesce a fare un’analisi della società italiana degli ultimi 20 anni che fa impallidire un decennio di talk show politici (la scena della telefonata di un ascoltatore a una trasmissione radiofonica è già culto). Non semplice comicità, ma umorismo Pirandelliano, sentimento dell’opposto – farebbero notare compiaciuti e spocchiosi in qualche salotto buono di quella sinistra degli anni ’90 presa di mira dallo show.
Il punto è che i salotti buoni ormai sono buoni solo per esser teatro delle sferzate di Jep Gambardella, che quella classe politica si è progressivamente abbandonata al cafonal D’Agostiniano e che tra lo ‘storytelling’ di Veltroniana memoria, gli haka a suon di “lo smacchiamo” di Bersani, la realpolitik sovranazionale di Letta e i selfie di Renzi, abbiamo assistito alla diaspora politica di buona parte di quell’elettorato verso un panorama imperscrutabile anche al più navigato dei sondagisti.
Guzzanti è qui a raccontare per metafora proprio gli stravolgimenti tellurici che, mentre il ‘primato morale’ veniva sommerso da scandali e inciuci, hanno lasciato orfano quel popolo. Difficile immaginare un sunto migliore degli ultimi vent’anni: una sinistra troppo autoreferenziale ‘si addormenta’ perdendo il contatto con la realtà e rischia di decretare autolesionisticamente la propria fine quand’è alla guida del paese. Sopravvissuta per poco all’estinzione, si stanca di quella autonarrazione e ricorre al populismo per recuperare un rapporto col proprio ‘pubblico’, suscitando sdegno tra gli intellettuali, consensi plebiscitari tra gli ‘italiani medi’ e opinioni contraddittorie nel mezzo. Rimane però una dicotomia quasi inconciliabile tra due anime quasi opposte.
Il pilot della miniserie, composta da soli quattro episodi da 42 minuti, fa gridare al miracolo almeno quanto lo fece l’esordio di Boris, portandoci al contempo a chiederci perché la serialità italiana sia così timida nell’esplorare il territorio della comedy di alto profilo (i talenti non mancano).
Il paragone con l’insuperata serie che smontava e rimontava la fiction italiana non è casuale: dietro la pagina infatti, insieme a Guzzanti, ritroviamo Mattia Torre, già tra gli sceneggiatori dello show con Pannofino. La regia stavolta è affidata al poliedrico Edoardo Gabbriellini (spesso attore per Virzì), che, forte delle due regie cinematografiche al suo attivo, mostra una mano sicura e un ritmo incalzante. I titoli reminescenti dell’Antonio Sanchez di Birdman aiutano a creare la giusta atmosfera.
L’idea di base è semplice, semplicissima, e gli sketch magnificamente messi in atto da Guzzanti fanno ridere di gusto. Il vero tocco di classe però sono l’attenzione ai dettagli e le grottesche incursioni della realtà nella finzione. La (fantastica) badante-poetessa di un ormai estinto Paolo Mieli che viene ricordato per i problemi di incontinenza dei suoi ultimi giorni, il film di Veltroni tratto dal romanzo premio Strega di Bambea La temperatura del bianco, l’opinione di un Napolitano che vede nel protagonista un “uomo di esasperata coerenza”, Travaglio che saluta con entusiasmo la perdita della r moscia e il riferimento ai girotondi nella sopracitata telefonata alla radio. Senza dimenticare la partecipazione di Saverio Raimondo, nella realtà pungente stand-up comedian di satira post-impegnata (definizione per lui coniata da Walter Siti de La Stampa) e volto principale del canale tematico Comedy Central, nella serie parodizzato dal demenziale Comedy 2.
In conclusione Dov’è Mario? è un prodotto semplicemente eccellente che ci fa venir voglia di vedere molto più delle quattro puntate previste, conferma il talento di Mattia Torre e ci ricorda la grandezza di quello che a opinione di chi scrive è il più grande comico italiano (attore e autore) degli ultimi decenni, qui circondato da ottimi professionisti. Non rimane che essere grati a Sky e scoprire in che modo si svilupperanno le avventure di Mario Bambea e del suo alter ego Bizio Capoccetti.
Il geniale ritorno di Guzzanti (con lo sceneggiatore di Boris)
Il celebre comico torna con una miniserie Sky in cui un intellettuale di sinistra riscopre i piaceri della banalità.