Quando ormai si parla di Netflix, la piattaforma streaming più famosa del mondo, il primo termine che ci viene in mente è “qualità”: da House of Cards a Daredevil passando per Orange Is The New Black, Narcos e Sense8, le sue produzioni originali in questi anni non hanno nulla da invidiare ai grandi show televisivi dei canali via cavo americani, appassionando milioni e milioni di telespettatori in tutto il mondo; ecco perché era alta la curiosità attorno a Marseille, prima produzione seriale non americana di Netflix disponibile nel suo catalogo dal 5 maggio.
Questa prima stagione, composta da 8 episodi, è incentrata sulla lotta intestina tra Robert Taro, sindaco di Marsiglia, e il vicesindaco, nonchè suo ex braccio destro, Lucas Barres.
Il sindaco Taro (Gérard Depardieu), dopo essere stato vent’anni al comando della città, prepara il terreno per l’elezione del suo collaboratore fidato, Lucas Barres (Benoit Magimel), pensando di poter ancora, tramite il suo delfino, controllare la città. Si capisce presto che Lucas, pieno di rancore nei confronti del sindaco, vuole andare controcorrente rispetto alle sue indicazioni. A questo punto Taro, convinto di agire per il bene di Marsiglia, deciderà di ripresentarsi nuovamente alle elezioni, dando così vita ad una battaglia che sarà senza esclusione di colpi e che svelerà il vero motivo della rabbia di Lucas verso Taro, destabilizzando così anche la famiglia del sindaco, in particolare sua moglie Rachel (Geraldine Pailhas) e sua figlia Julia (Stephanie Caillard).
Chiariamo subito la questione senza fare troppi giri di parole: Marseille è il primo, vero passo falso fatto da Netflix in ambito seriale.
I nomi dietro alla realizzazione di questo prodotto e i membri del cast ci avevano dato inizialmente l’illusione di una serie che potesse tranquillamente rientrare negli standard altissimi della piattaforma streaming, e anche le dichiarazioni del creatore della serie Dan Franck (sceneggiatore della miniserie Carlos di Olivier Assayas), fatte alla vigilia del rilascio, annunciavano Marseille come “l’House of Cards francese”, generando ulteriore hype. Niente di più sbagliato. Più che ad House of Cards o Gomorra (altro prodotto accostato alla serie francese), la fonte d’ispirazione maggiore di Marseille sembra più essere Boss, serie americana andata in onda qualche anno fa che racconta le vicende del tormentato sindaco di Chicago Tom Kane (interpretato da Kelsey Grammer). Ma i paragoni con lo splendido show di Starz iniziano e finiscono qui.
I problemi di Marseille sono fondamentalmente due: alcune scelte di regia molto discutibili ma, soprattutto, una sceneggiatura disastrosa.
Il soggetto di partenza, alla base, era molto interessante perché l’idea di usare le vicissitudini di un sindaco per raccontare in realtà una città molto particolare come Marsiglia poteva essere vincente. Peccato però che l’abbiano sfruttata nel peggiore dei modi. La serie infatti dà poco spazio alle tematiche sociali (non approfondendo il tema delle condizioni dei tanti immigrati nelle periferie) e dipinge le gang criminali della città, legate ai politici di Marsiglia, in maniera molto macchiettistica; persino la rappresentazione della politica locale è realizzata in maniera approssimativa e spesso usata come pretesto per un altro fine, quello di mettere in primissimo piano i protagonisti dello show. Questo perché Marseille non è nient’altro che un melodramma mascherato da un political/crime drama. E non un melodramma di qualità, ma uno di serie C: la trama è sviluppata in maniera dozzinale e il livello della scrittura dei personaggi (e, di conseguenza, dei loro legami) è pietoso, dato il loro comportamento il più delle volte incoerente e contraddittorio (in alcuni momenti non si riesce neanche a capire se gli stessi due protagonisti siano degli uomini brillanti o dei perfetti imbecilli), sfociando non poche volte nel ridicolo e nel trash, al pari di una soap opera sudamericana. Anche alcune soluzioni registiche non convincono affatto, come l’eccessivo utilizzo del voice over e del rallenty per creare ulteriore pathos drammatico (provocando invece l’effetto opposto); persino alcune scelte in fase di montaggio lasciano a desiderare e questo è davvero inusuale visto le professionalità dietro a Marseille (i primi 4 episodi della serie sono diretti da Florent Emilio-Siri, regista del film cult Nido di Vespe).
A farne le spese di questa realizzazione inadeguata sono ovviamente gli attori che, pur essendo bravi, non riescono minimamente ad innalzare la qualità del prodotto finale.
I riflettori sono tutti puntati, come era facile prevedere, su Depardieu e Magimel (premio a Cannes come miglior attore per il film di Haneke Il pianista) che, nonostante il pessimo materiale a loro disposizione, alla fine sono gli unici a non uscirne con le ossa rotta (ma, dalle loro espressioni, si può intuire la fatica che hanno fatto per tenere in piedi questo obbrobrio) mentre poco spazio è stato dato al supporting cast, che svolge un mero ruolo di contorno.
Dall’ultima scena del season finale si capisce l’intenzione, da parte di Dan Franck, di proseguire con una seconda stagione nonostante non ci siano ancora di fatto le condizioni necessarie (per i problemi giudiziari di Benoit Magimel); questo comunque non toglie il fatto che, ad oggi, di una seconda stagione francamente ne possiamo fare volentieri a meno, se il risultato continuerà ad essere questo. L’unico timore (non fondato) è che Marseille poteva essere un segnale d’allarme per tutte le produzioni originali future non americane di Netflix ma, se pensiamo che l’anno prossimo la piattaforma di streaming ci regalerà la serie Suburra (con Stefano Sollima come showrunner), possiamo dormire sonni tranquilli.