Confrontare un film con l’eventuale materiale d’origine è un esercizio interessante ma sempre pericoloso. Che il raffronto sia con un libro, con un fumetto o – come in questo caso – con un videogioco, si corre sempre il rischio di porre eccessiva attenzione alle aspettative a volte rigidissime del fandom di appartenenza e di dimenticare che ogni film, in fondo, è un racconto a sé.
C’è da dire che le trasposizioni cinematografiche di videogiochi non hanno mai avuto grande successo, ma nel caso di Warcraft – L’inizio (ispirato al game Warcraft: Orcs & Humans del 1994) il materiale di partenza era eccellente: la saga di giochi di Blizzard vanta infatti una mitologia sterminata alla quale attingere e la longevità ventennale del franchise suggerisce una solidità ben diversa da quella di altri titoli caratterizzati da exploit tanto folgoranti quanto effimeri.
Nella coproduzione Universal, Legendary, Atlas e Blizzard, la software house ha evidentemente avuto un ruolo decisivo nello scegliere un tono che fosse funzionale a un rilancio dei propri prodotti di intrattenimento, e la scelta di Duncan Jones alla regia è di per sé una dichiarazione d’intenti: un regista di sicuro talento e con un bonus di visibilità (è il figlio di David Bowie) che però avesse solo due pellicole ‘minori’ all’attivo e che quindi fosse più facilmente ‘pilotabile’ dalla produzione del blockbuster. D’altronde, nella lunghissima gestazione della pellicola, Sam Raimi aveva lasciato la direzione dopo tre lunghi anni proprio per divergenze con la game company.
Per Warcraft – L’inizio la celebrità del materiale d’origine è croce e delizia
Il MMORPG World of Warcraft è stato uno dei più importanti fenomeni della cultura nerd dell’ultimo decennio e ha condizionato l’immaginario fantastico come poche altre realtà hanno saputo fare. Un paragone ingombrante da gestire. Appena si entra in sala è però evidente che il film non ha alcuna intenzione di discostarsi troppo dal fenomeno videoludico e che anzi vuole rappresentare la quintessenza di una certa idea di fantasy.
Warcraft – L’inizio non ‘si limita’ a raccontare lo scontro tra umani e orchi ma lo fa estremizzando tutto il possibile.
Prima che la storia abbia modo di evolversi, gli umani sono cittadini nobili e pacifici che incedono in scintillanti armature barocche e ipertrofiche che nella realtà sarebbero irragionevolmente pesanti e scomode, semplicemente improponibili nel medium cinematografico. Gli orchi invece sono brutti e cattivi, giganti mostri verdi dalle sembianze cartoonesche che portano morte ovunque si rechino e che, pur garantendo orgasmi multipli a qualsiasi nerd appassionato al genere, sembrano del tutto inadatti a una trasposizione in pellicola. E poi ci sono i maghi che si teletrasportano in un “puf”, gli elfi con gli occhi illuminati di viola, i nani le cui forme tozze e sgraziate potevano esser affidate solo alla computer grafica e ancora le gemme retroilluminate dai colori impossibili, i grifoni con bardature d’oro e acciaio, città sospese nel cielo e castelli complessi e grandi oltre ogni blandamente realistica aspettativa. Tutto finto, tutto esagerato, tutto incompatibile con la più accondiscendente sospensione d’incredulità. “L’ennesima terribile trasposizione cinematografica di un videogioco, troppo ‘carica’ per essere cinematograficamente credibile”, verrebbe da dire. Eppure, tutto straordinariamente familiare agli amanti del fantasy giocato.
Warcraft – L’inizio solleva un dubbio: quanto può essere fantasioso il fantasy cinematografico?
Duncan Jones potrebbe non aver centrato pienamente l’obiettivo, eppure gli va riconosciuto un indiscutibile merito: ha provato con grandissimo coraggio a proporre un immaginario narrativo completamente diverso dal (meraviglioso) realismo di maniera imposto al cinema moderno dal Tolkien di Peter Jackson. Scordatevi quell’universo sporco di terra e sudore, dalle tinte pittoriche e dal design ricercatissimo ma sempre sobrio. Warcraft – L’inizio va in direzione diametralmente opposta. E, mai come in questo film, gli archetipi sono al servizio della costruzione di un contesto, e la dicotomia tra gli uomini buoni, belli, tondi, luminosi, puliti, colorati e gli orchi brutti, cattivi, puntuti, scuri, sporchi e monocromatici è funzionale a creare una premessa da mettere in discussione quando la narrazione inizia a mischiare le carte in tavola.
Ma se possiamo accettare il presupposto dell’esistenza di orchi, stregonerie e grifoni, perché non dovremmo poter accettare armature e armi tanto pesanti da essere inutilizzabili, un’insistita trascuratezza nei confronti della fisica di base o, ancora, occhi scintillanti di luce magica? Quanto si può spingere oltre il patto narrativo?
Una CGI indegna e una fotografia dai cromatismi grossolani non aiutanoWarcraft – L’inizio
Quel che è immediatamente evidente è che ci troviamo di fronte a un’orgia di CGI. Nonostante i numerosi set costruiti fisicamente e l’abbondanza di prop reali, non c’è scena che non sia invasa da una computer grafica che in alcuni momenti è straordinariamente credibile ma, per la maggior parte del tempo, sembra proporre volumi intangibili, un’illuminazione discutibile e in generale un livello tecnico a tratti semplicemente inaccettabile. A quanto pare il vertiginoso budget di 160.000.000$ è in parte andato perso nei lunghissimi anni di preproduzione e non è bastato per esigere dalla Industrial Light & Magic un prodotto migliore.
A rendere il tutto meno credibile, contribuiscono specifiche scelte cinematografiche, prima tra tutte la fotografia. I colori sorprendentemente saturi e invasivi di Simon Dugan sfidano infatti il nostro gusto di spettatori occidentali e riportano alla mente il famigerato Speed Racer (2008) dei –o delle – Wachowski, ricordandoci a ogni inquadratura che, in fondo, siamo pur sempre davanti a un videogioco. Le opinabilissime scelte di casting appiattiscono poi l’insieme, considerato che per qualche misterioso motivo in un universo in cui convivono le più disparate creature, non c’è verso di trovare qualche umano sopra i quarant’anni e che le interpretazioni di Dominic Cooper (Llane Wynn), Ben Foster (Medivh) e Ben Schnetzer (Khadgar) sono all’insegna della più totale insignificanza. Per tutta la prima parte del film, la fastidiosissima impressione è che stiamo vedendo un costosissimo fan film in cui ai ricchissimi mezzi non corrisponde il necessario talento. Un disastro totale, insomma? Non proprio.
Nonostante i mille difetti,Warcraft – L’inizio riesce a risultare sì kitsch ma a tratti anche molto godibile
Non è dato sapere se il risultato d’insieme sia merito di Jones o degli studios che gli hanno posto un freno, tagliando ben 40 minuti dal montaggio finale, fatto sta che a dispetto delle pressoché infinite scelte ‘sbagliate’ operate nella realizzazione della pellicola, una volta superato lo shock iniziale, la storia, i personaggi e un ottimo montaggio hanno il sopravvento.
I tanti – troppi – eventi assalgono lo spettatore dall’inizio alla fine del film e i nessi causali sono spesso a dir poco pretestuosi. Ma è proprio questo sovradosaggio di ingredienti narrativi che, pur risultando un po’ confusionario, intrattiene lo spettatore facendo sì che non ci siano mai veri e propri rallentamenti e che – cosa molto apprezzabile in un film del genere – non subentri mai la noia. Altrettanto apprezzabile, per quanto a tratti piuttosto forzato, il gioco di ribaltamento delle prospettive che, alla fine del film, restituirà una narrazione a tutto tondo delle due fazioni in gioco.
In conclusione sembra ci siano le premesse per dei sequel interessanti, ma solo a patto che si allenti la morsa sull’eccessiva aderenza al materiale d’origine e che, pur nell’apprezzabilissima originalità, si percorrano strade un minimo più congeniali al medium cinematografico. Difficile però che si arrivi a un secondo capitolo. La critica internazionale ha distrutto la pellicola, e se il box office cinese tocca risultati straordinari arrivando a 200 milioni nei primi giorni di proiezione solo nel mercato asiatico (complice l’acquisizione di Legendary Pictures da parte del colosso Wanda, che è proprietario del 18% delle sale cinesi), quello occidentale è decisamente più modesto.