Nei primi giorni di Giugno, sono tornati in sala, opportunamente restaurati, quattro capolavori di un genio della comicità: Jacques Tati, francese di anagrafe ma franco-russo-italo-olandese di origini; universale già dalla propria genealogia, prima che nel suo cinema. Si comincia con Mio Zio (Mon Oncle) primo dei suoi film girato a colori, datato 1958.
Il piccolo Gérard Arpel vive con il padre, ricco ed indaffaratissimo industriale, e la madre, compulsiva casalinga ossessionata dalle pulizie, in una grigia e modernissima villetta, all’interno di un grigio e modernissimo quartiere di una non precisata città francese. I genitori non hanno tempo da perdere dietro ai suoi bisogni e lui si rifugia nella spensieratezza dell zio Hulot, personaggio simpatico, anticonformista e gentile.
Pagando il giusto pegno agli inevitabili Charlie Chaplin e Buster Keaton, Tati tratteggia colorandolo, il nutrito mondo della media borghesia che trascinata da una modernizzazione sempre più vorace, rischia di spersonalizzarsi e cedere il passo alla sole ambizioni professionali. La casa degli Arpel è il simbolo perfetto di questo desiderio di alienazione che sta prepotentemente annunciando un futuro pieno di oggetti da consumare (siamo alla fine degli anni 50, in pieno boom; un periodo non sospetto per considerazioni così critiche), ordinatissima ed iper moderna, ha una fontana che spruzza acqua solo in presenza di ospiti in cerca di stupore.
Ai contatti stereotipati dei “cittadini”, alle ordinate villette borghesi e agli uffici delle fabbriche, contrappone la socialità ancora umana del villaggio, le biciclette, i cani randagi e le case popolari démodé (indimenticabile l’abitazione dello zio Hulot). Con la sua aria mite e imbranata, l’alter-ego del regista, comunica la libertà estrema di un uomo che non subisce supinamente i nuovi rituali di classe e la superficialità dei rapporti sociali. Alla fine dei conti, anche uno zio strampalato potrà salvarci da noi stessi.
Lo stile e l’eleganza del protagonista e regista riesce a trasformare un tipo di comicità prettamente fisica, basata quasi esclusivamente nell’eccesso espressivo e nell’esasperazione delle azioni, in qualcosa di estremamente aggraziato e poetico, incorniciando il tutto in una raffinata composizione visiva ed uditiva. Fondamentale, infatti il sonoro nei suoi film, dal rumore delle portiere che si aprono, a quello dello straccio da spolvero, niente è superfluo o inutile; ogni dettaglio partecipa alla costruzione di un panorama così semplice ma così marcato, da risultare fondamentale. Pieno di gag indimenticabili, i tempi comici del capolavoro di Tati fungeranno da esempio per innumerevoli film a venire, Hollywood Party su tutti.
I film di Tati sono come profumi con un basso ‘sillage’, lasciano una scia leggerissima,poco invadente ma rimangono attaccati alla pelle e accompagnano dolcemente per un tempo indefinito; una volta provati non se ne può più fare a meno.
Tra i grandi estimatori di Tati spicca David Lynch che lo considera un autore così creativo da annoverarlo tra i migliori di sempre:
“Il punto di vista dal quale Tati descrive la società è stupefacente. Nel guardare i suoi film, si capisce al volo quanto conosca e ami la natura umana. Quale migliore ispirazione per fare altrettanto?” – David Lynch